Tiziana Catarci. Una vita da donna scienziata
Una conversazione pacata e senza partigianeria su tematiche sostanziali relative a una società che evolve e si indirizza verso nuove sfide inclusive e sostenibili.
Noi di abbanews.eu abbiamo avuto il privilegio di intervistare Tiziana Catarci, direttrice del Diag – Dipartimento di Ingegneria Informatica Automatica e Gestionale – dell’Università La Sapienza di Roma.
Un convivio di pensieri e parole che ci ha dato la possibilità di focalizzare in particolare la tematica del divario di genere nelle scelte formative-professionali. Il cosiddetto gender gap che appare già nella prima scelta formativa che gli studenti e le studentesse si trovano ad affrontare: la transizione dalla scuola secondaria di I grado a quella di II grado.
Chiunque abbia una relativa conoscenza del mondo scolastico, sa bene che le aule di un tecnico informatico saranno prevalentemente popolate dal genere maschile, alla pari di un tecnico meccanico o di un elettrotecnico, così come un’aula di un liceo linguistico di scienze umane o di un tecnico turistico o un professionale di moda, saranno a prevalenza femminile. Tutto normale? Anche no
Incisione del genere sulle scelte in termini di attitudini ed interessi
Il genere non è una variabile. In bambini e bambine, quando ancora non sono vittime di sovrastrutture socio-culturali, è evidente che il genere non ha nulla che fare con le abilità scientifiche e umanistiche. Recentemente abbiamo condotto uno studio sulle opportunità scientifiche in particolare per le donne, con il progetto In Estate impariamo le Stem. Molte scuole hanno partecipato. Università, enti, mettono a disposizione ricercatori, esperti. Si è così ulteriormente rafforzata nessuna significatività in variabili di genere. Le variabili culturali sviluppate in millenni di storia, possono avere contributo a che la specie sviluppi meno certe abilità per consuetudine, ma non certo per attitudine ed inclinazione naturale.
“Duri a morire” gli stereotipi di genere in ogni piega della società
Gli stereotipi si consolidano anche con il concorso dei media, film, serie televisive; stereotipi che si perseguono, anche inconsapevolmente all’interno delle stesse famiglie. Pensiamo solo come spesso viene raffigurata la figura della donna informatica nelle serie televisive, così come nelle pubblicità. Le donne scienziate non costituiscono modelli che possono piacere ad una ragazza. Non sono modelli con cui identificarsi.
Quando una donna raggiunge una posizione ai vertici nel campo scientifico, si parla sempre di una donna eccezionale, mentre per gli uomini è la norma, non si sottolinea mai la dimensione di eccezionalità; le giovani, dunque, si possono non sentire di essere all’altezza, confrontarsi con la dimensione di straordinarietà. Molti psicologi sostengono che le donne sono molto più esigenti con se stesse e, pertanto, hanno bisogno di essere più preparate.
Molti sono i fattori che possono predisporre le donne ad una minore disponibilità verso alcune materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr) in particolare verso le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e la Fisica; non per la Biologia per esempio, che è un campo pieno di donne poiché collegato al concetto di cura, per tradizione, “terreno” femminile, proveniente da una cultura millennaria. Non si tratta di essere più portati, ma di sostrato socio-culturale che si rispecchia nel mondo lavorativo e di cura che si sviluppa a livello inconscio.
Da una parte, dunque, ci sono gli stereotipi e dall’altra una sedimentazione di ruoli che porta al livello inconscio a scegliere, altre cose.
L’immagine delle donne scienziate in realtà è molteplice e multiforme, come lo dimostra l’esposizione fotografica Una vita da scienziata, della Fondazione Bracco, che presenta volti e competenze di alcune delle più grandi scienziate italiane, protagoniste del progetto ” U” (tra cui quello di Tiziana Catarci, ndr) progettato per evidenziare quei campi considerati di dominio maschile. Biologhe, chimiche, farmacologhe, ingegnere, astrofisiche, matematiche, chirurghe, paleontologhe, informatiche. Iniziative che contribuiscono a una spinta culturale forte, come l’editoria per l’’infanzia focalizzata sulle donne-scienziate.
Senza gli uomini non faremo un passo
Tutto quello che si fa per le donne non funziona senza la presenza degli uomini. Se le donne si chiudono in un cerchio di contrasto alla stereotipizzazione di genere senza il coinvolgimento dell’uomo, non si farà un passo.
Lavoriamo con bambini e bambine, con uomini e donne per educare al di là di ogni stereotipizzazione di genere. Parlare della condizione femminile solo tra donne, non aiuta a modificare i modelli sociale. Gli uomini devono essere attori del cambiamento a fianco delle donne, con cameratismo e non in antagonismo, così come le donne.
La rivoluzione digitale ha bisogno delle donne
L’Osservatorio di Ingegneria Informatica registra che il divario di genere nel campo dell’Informatica non si restringe, nonostante si tratti di un tipo di laurea che dà un’occupabilità al 200%. Negli Stati Uniti, negli ultimi 20 anni si è scesi di 10 punti percentuali nello studio di Computer Science. La rivoluzione digitale cambierà il mondo, dà un grande potere che sta cambiando la società. I dati che provengono dalla Silicon Valley testimoniano la percentuale maschile massiccia. Solo il 20% sono donne. Inoltre, bisogna evidenziare che trattandosi di ambienti fortemente maschili, non tutte le donne si sentono di affrontarli.
Io non sono una persona timida, non mi faccio intimidire, non farei la direttrice. Quando studiavo, su 300 maschi, eravamo 3 femmine, prendevo la parte più divertente, sempre colazioni gratuite, posti al primo banco. Sicuramente il carattere favorisce l’atteggiamento giusto.
Da bambina mi piaceva risolvere i problemi
Ho sempre amato la matematica, fin da bambina mi piaceva risolvere i problemi. In Ingegneria informatica si impara a risolvere i problemi. Nessuno me l’ha insegnato. Ai miei tempi, la laurea in matematica portava principalmente alla carriera di insegnante, così ho intrapreso il percorso di ingegneria elettronica e poi informatica che all’epoca era agli albori. La mia attività è articolata; insegnamento, ricerca, progetti, viaggio tanto. Le scienze informatiche sono deputate a risolvere i problemi.
Lei non ha la faccia da ingegnere
Dopo il dottorato e prima di approdare alla carriera accademica, feci qualche colloquio di lavoro . “Lei non ha la faccia da ingegnere”, mi disse uno dei selezionatori. Un autentico climax dello stereotipo, al quale non bisogna soccombere. Io non ho mai mortificato la mia femminilità. Altre donne scelgono di nascondersi per timore di non risultare credibili, ancora oggi in un ambiente prevalentemente maschile. Tempo fa venne una dottoranda in studio, per conoscermi e mentre parlavamo una sua constatazione-domanda mi colse di sorpresa: “Lei si mette lo smalto? Io non lo metto, per timore di essere giudicata frivola”.
Ovviamente il vestiario è adeguato ad un contesto lavorativo. “Se porti il rossetto, sei frivola” è un’equazione retrograda e privo di senso. Di sottofondo c’è la cultura maschilista, che ognuno di noi ha assorbito anche a livello subliminale. Quando ero candidata al Rettorato, sui giornali leggevo commenti sul mio abbigliamento, sul fatto che portavo i tacchi, ma qualcuno scriveva forse sui calzini dei miei colleghi?
Teniamo alta l’attenzione
La donna continua ad essere oggetto di insulto ed aggressione. Basti pensare agli hate speech, quanto le donne siano vittime di attacchi sessisti. Bisogna tenere alta l’attenzione in una società ancora fortemente stereotipata. Tanti pensano che sia una situazione superata, tante persone di cultura, ma non è così .
Ripensiamo l’orientamento, ripensiamo l’educazione, lontano da ogni precostituito indirizzo di genere, fin dai giochi educativi e ludici della scuola dell’infanzia.
Per approfondire: Ingegneri di altro genere