Chimica e spazio web 2.0. Una moderna Odissea

Comunicare la chimica nell’epoca del web 2 .0.Dalla cultura della diffidenza alle responsabilità educative come sta mutando la percezione della disciplina fra i “non addetti ai lavori”

Comunicare la chimica nell’epoca del web 2.0.Dalla cultura della diffidenza alle responsabilità educative: come sta mutando la percezione della disciplina fra i “non addetti ai lavori?

Quesito suggestivo e altamente formativo. Stiamo parlando del titolo del workshop che si svolge il 9 settembre 2016 a Torino, organizzato dall‘Ordine dei Chimici del Piemonte e della Valle d’Aosta e da Chimicare, associazione culturale.

Un’iniziativa relativa al progetto biennale “Indagine sulla percezione della chimica e dell’attività del chimico in ambito non professionale in Italia tramite i nuovi media”.

La chimica siamo noi. È dentro, fuori e sopra di noi, nell’ambiente circostante, negli oggetti che utilizziamo, ingeriamo ogni giorno. Pensiamo solo a quanto siano fondamentali le trasformazioni molecolari nel cibo, farmaci ed innumerevoli prodotti. Ma perché è cosi importante saperla comunicare? Come ci origina la “cultura della diffidenza” e, soprattutto che cosa è?”

Ragionare con la propria testa è essenziale per l’uomo, ma discettare di ogni ambito, contrastando scientificità e conoscenza autentica, è un atteggiamo che rischia la deriva. Quale è il ruolo dei famigerati social network, croce e delizia dei nostri tempi fumosi  nella comunicazione? Ne abbiamo parlato con Franco Rosso, presidente di Chimicare che oltre a spiegarci con generosità le motivazioni del workshop ci regala preziosi suggerimenti per una didattica “empatica” che ci permetterebbe agli adulti “non scientifici” di goderne di tutti i benefici per una reale comprensione di noi stessi e del mondo.

Un confronto dunque tra chimica, esperti del settore e mondo della comunicazione. Com’è nata l’idea del workshop?

L’idea di organizzare un workshop che incrociasse i campi tematici della chimica, della comunicazione e del web con i suoi social network è nata come conseguenza delle osservazioni raccolte nel biennio di monitoraggio della situazione relativa alla percezione della chimica e della figura del chimico nell’ambiente Internet che l’associazione culturale Chimicare ha recentemente condotto su incarico dell’Ordine dei Chimici del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Subito dopo la comunità medico-sanitaria, che si è già attivata negli ultimi anni interrogandosi e discutendo metodologie per fronteggiare le conseguenze della diffusione incontrollata di convinzioni infondate, qualora non decisamente pericolose. La chimica è uno dei settori che ha risentito maggiormente della divulgazione online parziale, approssimativa e, spesso, errata e il web partecipativo ha contribuito ad una diffusione più rapida e capillare rispetto all’informazione corretta ed ufficiale.

Si è pensato alla forma del workshop, con un lungo momento di discussione pomeridiana, speriamo costruttiva, oserei dire “progettuale”, per riuscire a far comunicare competenze e professionalità diverse e complementari fra loro: non soltanto chimici ed altre professionalità scientifiche, ma anche comunicatori, epistemologi, storici della chimica, insegnanti e blogger. Una task force variegata che dovrebbe, almeno secondo i nostri intenti, riuscire a superare i limiti dell’autoreferenzialità che costituisce solitamente il maggior limite di incontri del genere, quando sono pensati e riservati ai soli addetti.

Perché parlate di “cultura della diffidenza”. A cosa vi riferite esattamente?

Si tratta in realtà di un’espressione volutamente provocatoria, che abbiamo coniato al nostro interno – e che ovviamente illustreremo al workshop – che si riferisce ad un atteggiamento che ha iniziato a crearsi nell’opinione pubblica probabilmente già a partire dagli anni ’70 ma che si è diffuso ed accentuato in modo drammatico con l’avvento delle piattaforme partecipative rese possibili dal web 2.0.

All’inizio volevamo parlare di “cultura del sospetto”, ma oltre ad essere già stata utilizzata in contesti completamente diversi dal nostro (precisamente in quello filosofico), questa espressione non descriveva con la necessaria incisività la connotazione degli atteggiamenti ai quali ci riferiamo.

Se è giusto e corretto porsi domande anche critiche sulla realtà che ci circonda, spesso si tende a confondere il “ragionare con la propria testa” con il dare credito alle teorie che minano la credibilità e la fiducia nell’ordine costituito, ponendole sullo stesso livello delle posizioni ufficiali e consolidate, nel nostro caso dalla comunità scientifica internazionale.

Nessuno ha intenzione di mettere filtri o bavagli ai social per evitare la diffusione di idee e posizioni, specie se relative al sapere, anche le più strampalate, ma credo anche che la trasposizione diretta dei valori della democrazia e della libertà di espressione, insieme alla facilità, all’immediatezza ed al (relativo) anonimato, garantiti dal sistema del web2.0,  stia creando una situazione destinata a creare non pochi problemi in svariati ambiti, quindi non soltanto in quello scientifico.

Purtroppo, si sa, le informazioni critiche, sensazionalistiche ed allarmistiche si diffondono a velocità e con capillarità decisamente maggiori rispetto alle corrette informazioni tecnico-scientifiche, che suonano a molti “liberi pensatori” sospettosamente rassicuranti, di parte, o forse più semplicemente troppo noiose e difficili da capire.

Il workshop è rivolto ai “non addetti ai lavori”, a chi fate riferimento esattamente?

Questa è certamente la domanda più semplice: in un senso più stretto potremo dire “tutti coloro che non hanno seguito un percorso di studi basato sulla chimica”, estendendo quindi la definizione anche a professionalità scientifiche e tecniche differenti.

Più realisticamente, con la dicitura informale di “non addetti ai lavori” intendiamo alludere alla stragrande maggioranza della cittadinanza, quella che nel proprio bagaglio culturale, della chimica non ha neppure le fondamenta.

Ad oggi la base della comunità civile si trova purtroppo culturalmente indifesa di fronte ad un bombardamento di messaggi che arrivano dalle fonti più svariate, dalle azioni del marketing commerciale più spregiudicato a quelle dei sostenitori delle pseudoscienze e delle posizioni più allarmistiche, se non addirittura delle visioni complottistiche.

Secondo lei, come è cambiato (se è cambiato) l’insegnamenti della Chimica nelle scuole in questi ultimi anni? Come potrebbe migliorare?

Premetto che la nostra associazione culturale non si occupa direttamente di didattica, limitandosi in questo campo a supportare gli enti preposti, come ad esempio la Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana. L’idea che ci siamo fatti è comunque quella di un cambiamento che negli ultimi anni ha interessato un po’ tutte le discipline ed in particolar modo quelle tecniche e scientifiche: parlo della didattica per competenze, che dovrebbe man mano sostituirsi o per lo meno affiancarsi al sistema attuale che punta soprattutto sull’acquisizione di conoscenze, se non addirittura di nozioni.

Nello specifico, l’opinione di Chimicare relativamente all’insegnamento della chimica nella scuola secondarie di primo e secondo grado (ad indirizzo non specialistico) è relativa alla necessità di puntare in modo primario all’acquisizione profonda dei principi fondanti della disciplina. Questo anche a discapito dell’abilità di calcolo, ad esempio di problemi di stechiometria o di termodinamica chimica.

Certo, è più facile per un insegnante affidare, correggere e poi valutare un compito basato sulla risoluzione di problemi numerici, ma dopo pochi anni, se non addirittura mesi, l’ex-studente che non proseguirà gli studi in ambito chimico perderà questa capacità per mancato utilizzo,  a causa degli scarsi collegamenti con una reale ed oserei dire “empatica” conoscenza della materia.

Assistiamo regolarmente ad una forma di cosiddetto “analfabetismo scientifico di ritorno”, quando un adulto che pure ha studiato chimica per almeno due anni  nel suo percorso scolastico, non riesce a godere di alcuna influenza da parte di questa formazione sulla propria visione critica della realtà e del mondo che lo circonda. Sarebbe come se nel campo umanistico uno di noi adulti collocasse l’Odissea fra le opere del romanticismo tedesco, oppure pensare che la Germania sia uscita vittoriosa dalla la seconda guerra mondiale.

In che modo i giornalisti potrebbero contribuire alla comunicazione della chimica nel modo corretto?

I giornalisti non specializzati in giornalismo scientifico rischiano di trovarsi a dover parlare di chimica in modo quasi involontario, sotto forma di puntualizzazioni ed incisi nell’ambito di articoli e di servizi dedicati a tematiche differenti. Purtroppo è ormai luogo comune l’utilizzo di espressioni come ad esempio “senza sostanze chimiche” che costituiscono autentiche contraddizioni logiche, oppure il semplice utilizzo dell’aggettivo “chimico” secondo una sua accezione implicitamente negativa, specie se contrapposta a termini quali naturale o biologico, quasi che si alludesse a campi semantici in opposizione fra loro.

È quindi necessario, sempre secondo il nostro parere, che i giornalisti non scientifici prendano innanzitutto consapevolezza dei luoghi comuni e dei fraintendimenti culturali nei quali rischiano di cadere con riferimenti per lo più fugaci e quasi involontari alla chimica.

Le informazioni tecnicamente errate sono in fondo un problema secondario rispetto a questo, che può essere ovviato semplicemente evitando di addentrarsi nei particolari senza aver preliminarmente consultato un collega giornalista scientifico o un referente esterno esperto in tematiche scientifiche.

I social media costituiscono un deterrente per una corretta comunicazione?

Per rispondere alla sua domanda, i social media non costituiscono in sé stessi un deterrente ad una corretta comunicazione della chimica: al contrario auspichiamo un sempre maggiore utilizzo delle piattaforme social da parte dei chimici, non soltanto per condividere e discutere fra loro le tematiche professionali, ma anche e soprattutto per dialogare con i famigerati “non addetti ai lavori”, sfruttando appieno le potenzialità offerte dal mezzo.

Dall’approccio top-down della comunicazione, ad un dialogo alla pari, ascoltando la voce, i dubbi e le domande – spesso ingenue, talvolta inconfessabili – di chi sta fuori, con tanta, tantissima pazienza non tanto per la mancanza di formazione, ma piuttosto a fronte di una informazione tanto scorretta quanto ormai radicata. Una sfida impegnativa, certo, ma assolutamente necessaria.

Per approfondimenti e partecipazione

Comunicare la chimica nell’epoca del web 2.0

 

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