Agli albori della dipendenza del XXI secolo
Uccise tremila astronavi spaziali poi fu ammazzato da una lambretta sui viali (Stefano Benni)
Bassa autostima, infelicità e depressione sono manifestazioni e condizioni sempre più presenti in chi soffre di “Internet addiction“, vale a dire, di dipendenza digitale. Fenomeno geograficamente trasversale che coinvolge, in particolare, Stati Uniti, Europa, Cina, e Sud Corea. Tra le persone maggiormente “colpite”, gli adolescenti di genere maschile, dovuto alla pervasività di uso dei videogame e la facilità di accesso, incrementata dalla diffusione degli smartphone.
I cosiddetti telefoni intelligenti che ci permettono di essere collegati 24 ore al giorno e, forse, ci rendono meno intelligenti.
Il fenomeno è di antica memoria e nasce con lo stesso avvento dei computer. Un breve excursus all’interno della Dipendenza del XI° secolo, ci ricollega agli esordi della patologia digitale, ancor prima dell’avvento e la propagazione di Internet.
Computer addiction
Sul viale del tramonto degli anni ’80, una psicologa americana, Margaret Shotton scrisse “Computer addiction” in cui affronta il tema della dipendenza dal computer. Compendio di interviste a coloro che si consideravano pc dipendenti.
Da allora sono trascorsi quasi trent’anni e la dipendenza tecnologica si è estesa all’uso-abuso della rete telematica, su scala mondiale. Fu il Prof. Jereck Block (psichiatra all’Oregon Health & Science University di Portland, ) nell’editoriale della rivista “American Journal of Psychiatry” che chiese che tale disturbo fosse incluso nel DSM (Disturbo mentale), annoverandolo nella categoria dei disturbi compulsivo-ossessivo.
Come molte altre forme di comportamento compulsivo-impulsivo, il computer è caratterizzato dall’accessibilità. “Puoi evitare i bar, casino, sexy shop, ma potresti non essere in grado di evitare la tecnologia. Inoltre l’uso del computer non è stigmatizzato come lo sono molti altri comportamenti. Una volta che la compulsione è attiva, il computer si trasforma nel migliore amico dell’uomo, originando una relazione esclusiva. Tagliarne l’accesso significa destabilizzarlo. La perdita dell’equilibrio virtuale può comportare violenza contro sé e gli altri”- dichiarò Block.
Il primo centro di riabilitazione per i retomani fu inaugurato nel 1995 dalla dott.ssa Kimberly Young, autrice di Caught in the net in cui sottolineava come in questo tipo di dipendenza, le persone diventano dipendenti da quello che fanno e dai sentimenti che provano nel farlo.
Attualmente la nazione più a rischio è la Corea del Sud dove si sono verificati 10 decessi nei molteplici Internet cafè che popolano le città, e dove sono stati creati veri e propri centri di disintossicazione per adolescenti.
Sylvia Czubachowska e Malogorzata Osipczuk, autrici del saggio: Retomania – piaga del XXI secolo, riscontrarono nei retomani, mancanza di autostima, incapacità a stabilire rapporti, necessità di evadere dalla realtà e senso di inadeguatezza. Lo psichiatra polacco Bohdan T. Woronowicz evidenziava quanto un uso eccessivo del web influenzi negativamente lo sviluppo del sistema nervoso e psichico del bambino.
Nel 1997 una ricerca promossa da Reuters Glued to the Screen: An investigation into information addiction worldwide (Incollati allo schermo: Una ricerca sulla dipendenza globale da informazione) rivelò una nuova generazione di datalholics.
La mente soggetta ad un’accumulazione rapsodica di informazione e a una sorta di frammentazione cognitiva, provocata dall’ipertesto, dopo un’inziale iper stimolazione, sperimenta un senso di smarrimento e frustrazione. La generazione dell’ hyperlink corre il rischio di perdersi in un circolo virtuale ben lontano dall’essere virtuoso.
Oggi nel 2016, stiamo vivendo a pieno i titoli gli effetti dell’uso incontrollato di informazioni e siamo chiamati ad arginarne gli effetti, ri-vedendo i paradigmi dell’educazione e della socialità. Una sfida da cogliere per il benessere psico-fisico sia a livello individuale che collettivo.
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