La mascherina. Simbolo attivo della cittadinanza globale
Forse non tutti sanno che la parola coprifuoco, tanto inflazionata e parimenti temuta ha un significato ben preciso. Sul vocabolario Treccani si legge come prima definizione Usanza medievale per cui, a una determinata ora della sera, gli abitanti di una città erano tenuti a coprire il fuoco con la cenere per evitare incendi.
Poi, in seconda battuta, si può constatare che si tratta anche di un divieto straordinario di uscire durante le ore serali e notturne imposto dall’autorità per motivi di ordine pubblico, in situazioni di emergenza. Il linguaggio, si sa, ha uno sviluppo diacronico di cui troppo spesso ci dimentichiamo presi dal vuoto di significati vigente.
Ebbene l’etimologia in questa fase di confusione ci offre un solido aiuto, quantomeno ci mette al riparo da questioni tanto superficialmente amplificate che riguardano la libertà, la nostra, quella di tutti. Laddove la parola coprifuoco vuole intendere divieto, si specifica che questa costrizione avviene in stato di emergenza; quello che stiamo vivendo. Ma non stiamo in guerra, vociano i molti. Ben venga l’assenza di conflitti, sebbene le discordanze di questi tempi siano abbastanza laceranti, se non addirittura deprimenti.
L’opinione comune grazie a stupefacenti commenti va in overdose di immunologia, virologia, infettivologia e si sente autorizzata ad esprimere pareri disciplinari su ogni fronte del sapere. Addirittura, sorgono nella notte dei tempi esperti di tutto, di diritto, di filosofia, di storia, di sociologia; ognuno appare pronto a pontificare sulla libertà oggi messa a dura prova o sul fatto che sistemi normativi improvvisati limitino il nostro diritto di esistere e co-esistere.
Lucidi dilemmi: la mascherina è davvero imposta dall’autorità per garantire il bene comune? Detto altrimenti, si tratterebbe di un diritto o di un dovere? Oppure non sarebbe più corretto considerarla una museruola, segno di sottomissione a un qualche potere occulto? Un obbligo tout court finalizzato ad abituarci al controllo, dileggio delle dittature di altri tempi. Ancora, limitare i nostri spostamenti un divieto o una modalità per aver cura della nostra salute? Avere cura di sé e degli altri, appunto (uno dei grandi insegnamenti di un vero filosofo Socrate).
Senza dubbio, quando si parla di diritti o doveri si rischia di inciampare contro un tacito dualismo a cui l’Occidente resta sempre molto affezionato. Insomma, ancora ci si incaglia sulla banale dicotomia fra bianco o nero! Eppure, dietro ogni colore si annida la possibilità di sfumature che, talvolta, rendono il quadro oltre che piacevole, maggiormente attinente alla realtà. Dunque, se la mascherina fosse metabolizzata come diritto di mantenere la salubrità della comunità, forse, verrebbe indossata con maggior premura.
A scuola, ad esempio, sarebbe meno difficoltoso insistere affinché venga usata da tutti, democraticamente. Ancora, il distanziamento, faticoso, quasi innaturale per noi latini, riuscirebbe di per sé come sforzo possibile, perché ancoraggio della comunità. Anche nelle classi pollaio non si tratterebbe di obbligare discenti ad essere statue, immobili su banchi mobili, bensì si tratterebbe di insistere sulla delicata questione della costruzione di sé: essere artefici del proprio futuro, scegliendo con consapevolezza e responsabilità. Un modo come un altro per accrescere un senso di cittadinanza globale.
Le competenze di cittadinanza il cui insegnamento si fa stringente in ogni ordine e grado del nostro sistema d’istruzione, ci rammentano che le società odierne con-vivono in una interdipendenza reciproca secondo la quale ogni personale comportamento ha un rilievo locale, nazionale e sovranazionale. Un sasso gettato in un lago, questo l’ago della bilancia. Pandemia docet!
Copertina: l’immagine è dello street artist Uzey