Allenatori di ieri e di oggi. La rivoluzione “normale” di Simone
Vuoi far felice un bambino? Donagli un pallone, e la prima cosa che farà sarà quella di dargli un calcio! Così nascono i campioni, i buoni giocatori ed i fenomeni. Questi ultimi nel mondo sono pochi, tanti saranno i campioni, altri saranno ottimi calciatori e molti saranno invece coloro che, pur sapendo giocare, rimarranno solo negli elenchi di appartenenza delle squadre. Infatti diceva Camus: “Non c’è un altro posto al mondo dove l’uomo è più felice se non su di un campo o uno stadio di calcio!” Una cosa però è quasi sempre dimostrata: se sei stato un ottimo giocatore, non è certo che sarai un altrettanto grande allenatore.
Gli esempi sono tanti, un po’ perché alcuni bravissimi calciatori non si ritengono caratterialmente portati ad allenare, altri perché precorrono sulle ali dei loro successi la convinzione di essere ottimi tecnici senza fare “gavetta” e esperienze nelle squadre minori o meglio ancora nell’ambito giovanile. Liedholm diceva che fare l’allenatore di calcio è il più bel mestiere del mondo, peccato che poi ci siano le partite!
E sulla stessa falsariga è Arrigo Sacchi (a destra nella foto a lato) che afferma che a pallone possono giocare tutti ma a calcio pochi, ed è così che può succedere che la squadra migliore non sempre vinca. Una buona squadra è costruita come un film: il presidente è il produttore, l’allenatore è il regista, gli attori sono i calciatori, sì, ma il finale non lo si conosce mai.
Oggi il mercato dei professionisti del pallone è diventato un’industria che ha fatto però perdere l’allegria del gioco, in senso lato. “Perché il calcio è un gioco semplice ma è difficile giocare semplice.” Così ha sempre asserito Roberto Baggio (a sinistra nella foto sopra). In passato gli allenatori erano considerati uomini veri: vedi Nereo Rocco che diceva che si doveva colpire tutto ciò che si muoveva sull’erba e se poi si prendeva il pallone… pazienza! Oppure “chi non si sente uomo, resti sul pullman, o se la palla è qui tu devi essere lì, se non se lì, hai sbagliato!” Ciò veniva detto in dialetto triestino ma era da tutti compreso.
Poi c’erano gli allenatori psicologi che riuscivano a far diventare uomini duri anche coloro che invece erano considerate “signorine”. Uno di questi era Fernandez Santos che costruì nel ’63-’64 una compagine in grado di vincere la coppa delle Alpi: il Genoa.
E poi c’erano gli allenatori dalle capacità indiscutibili: quelle di scoprire talenti. Così Arturo Silvestri (nella foto a lato) che giocò nel Milan con il trio Gre-No-Li, seppe amalgamare un grande Cagliari in pochi anni, lo portò dalla C alla A, vincendo il Seminatore d’oro nel ’66 e raccomandò alla società sarda l’acquisto di Gigi Riva.
Ricordatevi, diceva Vittorio Bergamo, allenatore di una squadra di 4° Serie: “Gli schemi si disegnano e si insegnano in allenamento, il tenere le palla vuol dire che il tuo avversario non ce l’ha, ma se il tuo portiere si addormenta e la sfera finisce nel sacco, addio possesso palla, ragazzi il calcio è più semplice della teoria di Einstein, ma più difficile che fare 2+2.
Fenomeno recente. La rivoluzione di Simone
Ma perché tutto questo scrivere sul calcio, giocatori ed allenatori? Vogliamo presentare semplicemente un protagonista del campionato di calcio di serie A: Simone Inzaghi. Buon calciatore, corretto professionista. Scrupoloso studioso di tattiche e schemi e che dopo tanta “gavetta” nel settore giovanile della Lazio è approdato in prima squadra.
Ha orchestrato un team di atleti molto diversi tra loro, ha dato loro un gioco basato sul far correre la palla più delle gambe, ed ha forse detto loro che gli attaccanti possono vincere con i loro gol le partite ma saranno sempre i difensori a far vincere i campionati. Ecco così che l’equilibrio che c’è tra i giocatori della Lazio: difesa solida, centrocampo forte e compatto, attacco ricco di fantasia, fanno di questi undici elementi un esempio di perfetta organizzazione.
E pensare che in estate nessuno lo dava riconfermato su quella panchina. Il presidente aveva fatto “cassa” cedendo giocatori considerati non sostituibili ed anche la “piazza” nonostante l’ottimo piazzamento finale chiedeva un trainer più carismatico. Ogni persona può anche brillare di luce propria ma altri cercheranno sempre di spegnere quella luce, occhio dunque a chi si avvicina agli… interruttori!
Simone Inzaghi (nella foto a lato) ha riabbracciato chi aveva salutato allo fine dello scorso campionato e senza rancore ha ripreso a lavorare. L’omaggio più bello e sincero che vogliamo far a l’attuale miglior allenatore della serie A è quello di continuare ad essere un personaggio normale in un mondo di avvoltoi, e di possedere sempre il “vizio” di saper mettere in campo i giocatori giusti al posto giusto. Tutti gli schemi di gioco e le tattiche possono aspettare, la bravura di Simone, siamo certi, è ancora tutta da scoprire!