Relazioni industriali che abbaiano. Salario minimo che non morde

Spesso nelle prime pagine dei giornali, la contrattazione collettiva rappresenta una delle fondamenta del mercato del lavoro in Italia e, nella maggior parte dei paesi. 810 le tipologie contrattuali, una frammentazione che deriva dalla mancanza di una legge che permetta di rappresentare gli interessi contrattuali di una categoria solo alle parti sociali.

Andrea GuarneroAndrea Garnero, ricercatore di economia dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ne ha analizzati “soltanto” 90 concentrando l’attenzione sul rispetto dei minimi contrattuali.

La sua analisi mette a confronto i minimi contrattuali sia a livello regionale (Regione per Regione) sia considerando i diversi settori professionali.

L’esito della ricerca ci mostra come il 10% dei dipendenti in Italia sia al di sotto dei minimi salariali.

Suggestivo ed esplicativo il nome della ricerca The dog that Barks Doesn’t Bite: Coverage and compliance of sectoral minimum wages in Italy (Can che abbaia non morde: Copertura e rispetto dei salari minimi settoriali in Italia). 

Il titolo gioca con il termine inglese “bite” (morso), con cui si intende anche la misura della velocità del salario minimo rispetto alla media dei guadagni.

Ne abbiamo parlato con Garnero, particolarmente attento al fenomeno del salario minimo, che ci descrive con la pacatezza della ragione e l’intensità della conoscenza, non solo un’analisi meticolosa e dettagliata, ma anche gli strumenti per arginare il “mal costume” a costo zero.

Che il salario minimo sia dis-applicato in molti settori probabilmente è noto agli esperti del settore, ma ad oggi, non c’è mai stata (neanche a livello internazionale) una ricerca esaustiva e completa, in grado di fornire un quadro complessivo dei parametri principali del mercato del lavoro.  Non si tratta ovviamente di dati segretati, ma di una tale frammentazione che rende impossibile una lettura unitaria e trasparente degli stessi. L’informazione, a oggi, non è stata processata. Non esistono tabelle riassuntive in nome del rispetto dei minimi salariali” ci ha evidenziato Garnero.

Per la prima volta, dunque, siamo presenti a un’ufficialità dei dati dovuti a una raccolta, metodologicamente e socialmente rilevante, negli studi socio-economici.

Le fonti considerate sono state le seguenti: rilevazioni sulle forze lavoro (inchiesta standard ISTAT per la rilevazione occupazione e disoccupazione) dal 2008 al 2015; strutture salariali realizzate dalle imprese ogni 4 anni (qui si considerano le dichiarazioni dei datori di lavoro del 2010) e  i dati Inps relativi alle comunicazioni delle imprese sui contributi dei lavoratori.

Dalla Pubblica Amministrazione all’Agricoltura: parabola discendente

I settori dove si riscontra maggiore adempienza ai minimi salariali sono: la Pubblica Amministrazione (4,15%), le telecomunicazione (7%), i trasporti (7,9%) e le costruzioni (7,4%). Per passare poi all’alberghiero e alla ristorazione (20,7%), all’immobiliare (15,5%) e alle attività lavorative relative alla cultura, arte e sport (30.09%) ed, infine, all’agricoltura con i suoi 31,6%). Il dato contro tendenza, rispetto all’immaginario collettivo, è il settore “costruzioni” che con il suo 7,4%  mostra un buon rispetto dei minimi salariali.

Su 100 persone, dunque, 10 persone sono sottopagate, 20 euro di scarto per ogni 100 persone.

Nelle Pmi (ossatura dell’economia italiana) il numero delle imprese che non adempie al minimo salariale minimo è più alto al Sud e, in determinati settori, come già visto, ma l’ammontare mancante del sotto pagato non varia. In media il numero delle persone sottopagate è più alto nelle micro e piccole medio imprese.

Il dato rilevato rispetto al Sud è che il sottopagamento in qualche modo ha un’incisione minore rispetto al resto di Italia perché il costo della vita è più basso, ma non si tratta di un dato positivo a livello socio-economico.

La lettura di questi dati apre diversi scenari. Per debolezza contrattuale (pensiamo ai contratti temporanei), per natura professionale, lavori socialmente e/o economicamente deboli. Ovviamente a seconda dei settori prevale una motivazione o l’altra, ma non è lo scopo della ricerca. Sicuramente materia di studio per indagini non solo economiche, ma di approccio socio-culturale.

Il dato oggettivo rilevante è che il sistema non garantisce l’equità: l’equità contrattuale è solo formale ma non sostanziale.

Facciamo chiarezza sui minimi contrattuali

Per legge, in Italia, non esiste un salario minimo di riferimento al di fuori della contrattazione collettiva. Inoltre, i contratti collettivi si applicano solo a chi li firma. In accordo con  l’art. 36 della Costituzione, che garantisce a ciascun lavoratore una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. In Europa, non hanno un salario minimo per legge, i paesi scandinavi e l’Austria.

Il salario minimo riscontra pareri opposti di opportunità economica per i lavoratori. I sindacati, per esempio, sono contrari, principalmente per tre motivi:

  1. il salario minimo minerebbe la libertà delle parti sociali di raggiungere l’accordo che ritengono più vantaggioso per i lavoratori
  2. provocherebbe un abbassamento generale dei minimi contrattuali poiché si configurerebbe tra i più bassi.
  3. temono di perdere il loro potere di rappresentanza tra i lavoratori, poiché si genererebbe una sorta di autoregolazione tra lavoratori e datori di lavoro.

A oggi non si sa se effettivamente tale situazione retributiva potrebbe provocare un abbassamento generale dei salari minimi, ma considerando il mancato adeguamento alla contrattazione collettiva, il salario minimo potrebbe costituire un punto di riferimento, un deterrente all’inadempienza contrattuale da parte del datore di lavoro.

Idealmente il salario minimo potrebbe contribuire a avere un punto di riferimento. Vediamo come in Germania da quando è stato introdotto il salario minimo per legge. 8,50 euro si riscontra una maggiore equità salariale. Prendiamo, l’esempio di una partita IVA, come ci si regola per non cadere in un totale sottopagamento (tariffe minime dei professionisti, ma non sempre sono chiare e di facile lettura).

In Italia nessuno conosce realmente i salari minimi, neanche il governo. Dovrebbe essere rafforzata la contrattazione collettiva nazionale. Non esistono dati certi ma evidenze empiriche:  dove esiste un salario minimo è garantito un sistema contrattuale più equo, più leggibile e più rispettoso della forza lavoro.

Sottopagamento: oltre il salario minimo

Se si parla dell’universo dei sottopagati, l’inadempienza al salario minimo è solo uno dei ris-volti dell’intricata articolazione delle forme di  sottopagamento. Parlando con Garnero, emergono:

  • il “classico” lavoro in nero;
  • partita IVA “travestita” (lavoro sostanzialmente da dipendente, ma formalmente da libero professionista);
  • sottoinquadramento contrattuale;
  • inadempienze per negligenza e/o dolo. Prendiamo ad esempio le micro imprese che non hanno modo di seguire i continui cambiamenti dovuti alle riforme fiscali;
  • gestione disinvolta delle diversità contrattuali all’interno di una stessa azienda; facendo riferimento a un contratto collettivo nazionale non propriamente congruo alla configurazione del lavoratore.

Consideriamo che, dovuto alla diversificazioni di beni e servizi in atto, in molte aziende un datore di lavoro può far rientrare un lavoratore nell’ambito di un contratto collettivo nazionale non propriamente corrispondente al suo ruolo e alle sue mansioni. Entrando così nella fumosa zona del paralegale che non s-confina in un comportamento illecito e pertanto non è perseguibile per legge.

Al posto di mille riforme, idee a costo zero

In primo luogo, una semplificazione contrattuale. A oggi, si registrano 819 contratti collettivi nazionali. Perché questo fenomeno bulimico? La risposta si ri-trova nei contratti cosiddetti “pirata”. Si tratta di “pseudo” organizzazioni sindacali, prive di reale rappresentatività che in accordo con imprenditori/associazioni di imprenditori redigono contratti “alternativi” alla contrattazione nazionale, nel rispetto dei principi giuridici ordinari. Se avessero la facoltà di contrattare solo le parti sociali che godono di piena rappresentatività, verrebbero meno le “scorribande piratesche”.

In secondo luogo, la creazione di strumenti on line di accesso chiaro e trasparente ai dati relativi ai contratti minimi salariali e ad altre fonti di informazione contrattuale.

In terzo luogo, promuovere vere e proprie campagne di consapevolezza circa l’importanza di adempire ai salari minimi, rendendo accessibili le informazioni sia ai dipendenti sia ai datori di lavoro.

Campagne di successo sono state fatte nel Regno Unito, per accrescere la consapevolezza, così come in Costa Rica per diminuire il fenomeno del sottopagamento.

Infine, condurre azioni di Name and Shame (Nomi e Vergogna), come vengono definite queste campagne nei paesi anglosassoni, dove sia in paesi in via di sviluppo come Indonesia e Brasile, sia nello stesso Regno Unito si sono fatti i nomi delle aziende  non adempienti alle norme del salario minimo. O come fece Confindustria in merito al pizzo.

Dai ricercatori dell’Ocse ai dottorandi dell’Università di Bergamo

L’indagine capillare e meticolosa, unica nel suo genere, ha riscosso un vivido interesse sia per la metodologia che per i dati emersi.

Garnero prima di pubblicare il suo studio si è sottoposto alla prova del 9 o, meglio del 2, presentandolo a 2 pubblici esperti, ma di diversa provenienza formativo-professionale.

Il primo pubblico, costituito dai ricercatori Ocse, si è complimentato in particolare per la metodologia utilizzata. Uno sguardo della ricerca “pura”.

Successivamente lo studio è stato presentato agli studenti del corso di Dottorato in Mercato del Lavoro, promosso dall‘Università di Bergamo insieme alla Scuola di Alta formazione di Adapt, che hanno riscontrato l’aspetto reale, concreto del mondo industriale e aziendale con il quale gli studenti si confrontano.

L’incontro con i dottorandi nasce in virtù di uno scambio con un ricercatore  di Adapt, proprio in merito alla natura dei contratti pirati.

Cani che abbiano dunque non mordono: tanto parlare della contrattazione collettiva, ma il rispetto dei salari minimi? Una provocazione nel titolo e una fotografia reale nello studio che apre nuovi scenari a chi ha la volontà di interpretarli e metterli in pratica.

 

The dog that barks Doesn’t Bite: Coverage and compliance of sectoral minimum wages in Italy

Andrea Garnero

 

 

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