Cassazione. Contro il lavoro povero e a favore del salario minimo

La Corte di Cassazione riconosce l’esistenza del “lavoro povero” e stabilisce che il magistrato può individuare “un salario minimo costituzione” in grado di assicurare “una vita libera e dignitosa” al lavoratore.

I magistrati si rifanno all’articolo 36 della nostra Carta che afferma: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

La Cassazione si è pronunciata a seguito del ricorso di un lavoratore della vigilanza privata non armata a Torino, per la sua retribuzione troppo bassa e chiedendo che venisse accertato il suo diritto a percepire un salario base non inferiore a quello stabilito dal Contratto collettivo nazionale dei portieri.

La sentenza di primo grado gli era stata favorevole condannando la società al pagamento di 20 anni di differenza retributiva, decisione poi smontata dalla Corte d’Appello.

Ora la pronuncia della Cassazione che ribadendo e sancendo la prevalenza dell’art. 36 riconosce il diritto del ricorrente. Ma potrebbe rivelarsi utile per contrastare il lavoro precario e favorire la richiesta dell’introduzione del salario minimo, sostenuto da coloro che considerano tale provvedimento necessario per ridurre i disagi lavorativi e le disuguaglianze, inducendo al contempo le aziende ad una maggiore efficacia.

I detrattori, invece, considerano il salario minimo una misura che aumenterebbe la disoccupazione (in particolare fra i lavoratori non qualificati o privi di esperienza) e dannoso per le imprese.

Da qui lo scontro parlamentare italiano che nell’estate 2023 ha visto il centro – sinistra (che propone il TEM, ossia il trattamento economico minino a 9 euro l’ora lordi orari) incontrare il Governo di centro – destra (tra gli oppositori) che ha affidato la questione al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) che si esprimerà ufficialmente in proposito il 12 ottobre 2023, ma ha già reso nota la sua posizione contraria.

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