Clima. 11mila scienziati dichiarano l’emergenza climatica. Ma c’è chi dice no

Ancora una voce altisonante da parte della scienza lancia l’allarme sulla crisi climatica. Ben 11mila scienziati (di 153 Paesi, di cui 153 luminari italiani) hanno sottoscritto uno studio pubblicato sulla rivista BioScience con il quale ribadiscono che “il pianeta terra sta affrontando un’emergenza climatica” aggravata “dal rapido aumento delle emissioni di gas serra” più accelerata “di quanto molti scienziati si aspettassero” con “effetti sempre più dannosi sul clima”.  Da cui è necessario “un immenso incremento di scala degli sforzi per conservare la nostra biosfera” ed evitare “sofferenze indicibili” per l’umanità provocate dal riscaldamento globale terrestre.

Fare presto e fare in fretta. Dopo che “per 40 anni e nonostante i negoziati globali sul clima, si è proceduto “come di consueto e in gran parte non abbiamo affrontato questa situazione”.  Si deve recuperare il tempo perduto, si deve cambiare il sistema di vita, ribadiscono gli scienziati che per dare maggiore vigore alla loro voce hanno reso pubblica la ricerca il 5 novembre 2019, anniversario del quarantennale della prima conferenza globale sul clima che si svolse a Ginevra. La ricerca e accompagnata dalla dichiarazione con la quale gli scienziati indicano “6 passaggi critici e correlati che i governi, le imprese e il resto dell’umanità possono adottare per ridurre gli effetti peggiori” della crisi climatica.

I 6 passaggi riguardano i seguenti punti: energia, inquinanti, natura, cibo, economia e popolazione

Energia: secondo gli scienziati “il mondo deve implementare rapidamente massicce pratiche di efficienza e conservazione energetica, sostituendo i combustibili fossili con fonti rinnovabili a basse emissioni di carbonio e altre fonti di energia più pulite se sicure per le persone e l’ambiente”. Si deve “ridurre prontamente le emissioni d’inquinanti climatici di breve durata” e “proteggere e ripristinare gli ecosistemi terrestri”. I Paesi più ricchi, devono “sostenere le Nazioni più povere nel passaggio a fonti alternative”. Per dovere di cronaca, aggiungiamo che quest’ultimo punto è uno dei più contrastanti in ogni summit sul clima dell’Onu, almeno dal 2016 in poi.

Inquinanti: per ottenere la riduzione degli elementi inquinanti, si devono in primis limitare le emissioni di metano, carbonio nero e idrofluorocarburi.

Natura: per mantenere la sostenibilità a lungo termini della biosfera, scrivono gli scienziati “l’eccessiva estrazione di materiali e l’eccessivo sfruttamento degli ecosistemi, trainati dalla crescita economica – scrivono gli scienziati – devono essere rapidamente ridotti”.  Al tempo stesso vanno tutelati gli ecosistemi superstiti: protezione per piante, animali e microrganismi con la riforestazione su larga scala.

Cibo: per gli scienziati si deve “mangiare cibo prevalentemente vegetale e ridurre il consumo globale di prodotti di origine animale” in particolare la carne rossa: ciò permetterebbe di moderare le emissioni di metano prodotte dai grandi allevamenti, e di riconvertire i molti terreni – oggi riservati al pascolo e alla produzione di mangime – alla coltivazione di alimenti vegetali per il sostentamento dell’uomo e al rimboschimento.   Ridurre l’immane quantità “di rifiuti alimentari nel mondo” o meglio detto “ridurre lo spreco di cibo” che si potrebbe ottenere con una migliore gestione della distruzione del cibo prodotto. Secondo Carlo Petrini, fondatore del movimento internazione Slow Food, la produzione di cibo mondiale potrebbe sfamare “12 miliardi di persone”, contro gli effettivi 7,53 miliardi di persone sulla Terra (dato fornito dalla Banca Mondiale nel 2017).

Economia: dai punti precedenti è evidente che le indicazioni degli scienziati comportano un’importante modifica del sistema economico. Secondo i luminari gli obiettivi “devono spostarsi dalla crescita del PIL e della ricchezza a quelli della sostenibilità a lungo termine, dando priorità ai bisogni di base, riducendo le disuguaglianze”.

Popolazione: deve essere “stabilizzata” affermano gli scienziati, ossia “gradualmente ridotta, in un quadro che garantisca l’integrità sociale” attraverso “politiche comprovate ed efficaci che rafforzino i diritti umani”.

Ma c’è chi dice no

Sono 500 i firmatari dell’appello inviato al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, nel corso del vertice sul clima che si è svolto lo scorso 23 settembre, per fermare l’allarmismo contro i cambiamenti climatici e mettere in dubbio l’attribuzione del riscaldamento globale alle attività umane.

Il documento, chiamato Dichiarazione europea sul clima, è stato elaborato su iniziativa di Guus Berkhout, geofisico e professore emerito dell’Università dell’Aia (Olanda) da scienziati e associazioni di 13 Paesi.

Fra questi 145 italiani fra geologi, geofisici e climatologi (fra i quali Franco Prodi, Renato Ricci e Antonino Zichichi) che hanno poi presentato un documento analogo, sotto forma di petizione, al presidente Sergio Mattarella, al presidente del consiglio e ai presidenti delle Camere.  Rimarcano che non esiste un consenso scientifico sull’origine umana del riscaldamento globale, posto che già nelle ere passate si è verificato per cause naturali. Così come sostengono che non esiste un’emergenza climatica e che le politiche per ridurre le emissioni di gas serra non soltanto sono inutili per governare il clima ma hanno ricadute negative per lo sviluppo economico.

“Il cosiddetto consenso scientifico a favore del contributo antropico non sussiste, essendovi invece una notevole variabilità di opinioni tra gli specialisti del settore, climatologi, meteorologi, geologi e geofisici” affermano i firmatari per proseguire scrivendo che “E’ scientificamente poco realistico, individuare nelle emissioni umane praticamente l’unica causa del riscaldamento osservato dal secolo passato ad oggi e, quindi, le previsioni allarmistiche per il prossimo futuro dedotte da modelli climatici proponenti tale ipotesi non sono credibili”.

Il riscaldamento globale antropico è una congettura non dimostrata e dedotta solo da alcuni modelli teorici climatici. La letteratura scientifica recente ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità climatica naturale legata soprattutto ai grandi cicli millenari, secolari e pluridecennali dell’attività solare e della circolazione oceanica, che sono stati responsabili di altri periodi caldi degli ultimi 10.000 anni”.

“Posta la cruciale importanza che hanno i combustibili fossili per l’approvvigionamento energetico dell’umanità – termina la petizione – suggeriamo che non si aderisca a politiche di riduzione acritica dell’immissione di anidride carbonica in atmosfera con l’illusoria pretesa di governare il clima“.

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