Il Referendum “ilegal” della Catalogna
01.10.2017
Nel giorno X per la Spagna, e anche per l’Unione europea per le votazioni indipendentiste, vi ricordiamo perché si parla di “referendum ilegal” e la storia di un territorio che non nasce dalle spinte falsamente irredentiste del “nostro” secolo. Ricordando tuttavia come in una logica di Unione europea, la balcanizzazione degli stati può portare a rinnovate fratture insanabili. E soprattutto la democrazia si basa sul rispetto delle leggi di Stato.
“Voteremo, anche se lo Stato spagnolo non vuole. Noi catalani voteremo il primo ottobre per decidere il nostro futuro”. Le parole che riportiamo le ha pronunciate Pep Guardiola – star catalana del calcio, tecnico del Manchester City, (nella foto a lato) – l’ 11 giugno 2017, nel corso di una manifestazione che si è svolta a Barcellona a favore delle secessione. Per il sostegno della causa indipendentista Guardiola ha chiesto, dalla piazza, il supporto della comunità internazionale.
Il “voteremo” dell’allenatore si riferisce al referendum dichiarato dal Governo autonomo catalano (Generalitat) per il 1° ottobre 2017, quando verrà chiesto “Vuole che la Catalogna sia uno Stato repubblicano indipendente?”.
Il referendum “ilegal”
La Catalogna, infatti, capoluogo della quale è la tanto amata dagli italiani Barcellona, comunità autonoma, ambisce storicamente all’indipendenza dallo Stato centrale spagnolo. La rivendica a gran forza. Nel suo statuto di autonomia si dichiara ‘nazione’, status riconosciuto dall’articolo 2 della Carta Costituzionale spagnola.
Nel 2014 il Governo comunitario catalano ha indetto una “consultazione non referendaria”, non riconosciuta dal Governo centrale, il quale, facendo fede alla Carta Costituzionale di cui sopra, considera la Spagna indivisibile.
La stessa convocazione del prossimo ottobre è ‘ilegal’ (illegale) e non solo perché non contemplato dalla carta. Lo è anche perché non risponde ai criteri di diritto internazionale e per le modalità adottate dalla stessa Generalitat. Per questo motivo gli intellettuali e artisti catalani sono contrari, a prescindere dall’essere favorevole o meno all’indipendentismo.
Perché è “ilegal”. La decisione della Generalitat è antidemocratica?
Juan Manuel Serrat, famoso cantautore catalano e catalanista, con anni di ostruzionismo ed esilio sulle spalle durante gli anni del franchismo, pur essendo un indipendentista, afferma che non parteciperà al voto perché “non è vincolante”, perché non vede nella organizzazione della convocazione le garanzie democratiche “richieste da una decisione di questa rilevanza”. I cittadini devono essere adeguatamente informati, dichiara Serrat al quotidiano El Pais affinché “possano decidere” senza ritrovarsi nella situazione di essere “costretti” a decidere.
Più esplicito lo scrittore Juan Marsé che considera il referendum d’ottobre “rigorosamente incompatibile con lo Stato di Diritto”.
Il perché del lapidario giudizio di Marsé, lo spiega il professore di Scienze Politiche dell’Università di Barcellona, Joan Botella, il quale ci informa che un referendum di secessione, per essere legale deve avere una convalida internazionale – normalmente il riconoscimento dall’Onu; il territorio che lo richiede deve essere colonizzato o sotto il dominio di un altro stato (non è il caso della Catalogna); il referendum proclamato dalla Generalitat non è conforme con la normativa costituzionale spagnola; non è stato istituito nessun comitato a favore o contrario; non esiste una legge elettorale conforme; non sussiste la neutralità dei convocatori. Il professor Botella termina la sua spiegazione col “paradosso” di questo referendum annunciato soltanto “verbalmente” e convocato in un lasso di tempo troppo breve rispetto all’importanza della decisione richiesta, che richiederebbe un lungo periodo prima della sua realizzazione.
Troppo breve per dare le informazioni necessarie su quello che accadrebbe alla cittadinanza, in caso di risultato affermativo. Rimangono inevase da parte della Generalitat le seguenti domande: che cosa accadrebbe ai cittadini catalani se si arrivasse all’indipendenza? Come si svilupperebbe il processo successivo? Quali sono o sarebbero i negoziati con Madrid e Bruxelles? La Generalitat ha in programma soltanto la “legge di transizione”, con il presupposto che sarà discussa e approvata soltanto nel caso vincessero i sì.
Altro punto contestato dagli esperti al Governo comunitario catalano è la mancanza di spazio riservata all’opposizione parlamentare. Per comprenderlo ci viene d’aiuto nuovamente El Pais che riferisce “Lo zittire l’opposizione, l’introduzione di un tramite di lettura unica o il disattendere i dettami del Consiglio delle Garanzie mostrano la volontà di predominio della maggioranza e l’esclusione delle minoranze (attitudine confermata dalle disposizioni sul finanziamento della campagna precedente, l’istituzione della Revisione Elettorale senza i requisiti stabiliti dallo Statuto vigente o le regole sui mezzi di comunicazione)”.
E i cittadini coma la pensano? Il referendum del ’14 ha visto prevalere l’opzione indipendentista con l’80% dei voti a favore, ma con una partecipazione di votanti inferiore al 35%. Una situazione non in evoluzione. Studi di opinione, infatti, affermano che l’opzione indipendentista è minoritaria, anche perché nella stessa schiera di chi vorrebbe staccarsi dalla Spagna, alcuni pensano che il loro desiderio sia più un sogno che una reale possibilità: non tanto per le difficoltà istituzionali, quanto perché ritengono la Catalogna, per quanto forte possa essere, inadeguata per affrontare da sola il Mondo.
La giustificazione storica
La Storia è della parte degli indipendentisti. Colonia romana, quando cadde il grande impero, nel V secolo l’attuale Catalogna venne occupata dai Visigoti, quindi dagli arabi dal 718, fino a essere conquistata dai Carolingi nel 801, sotto la cui dominazione godette di un’ampia autonomia. Crebbe l’egemonia della contea di Barcellona sulle altre contee territoriali e si sviluppò la cultura catalana. La Contea di Catalogna, impropriamente definita principato, attraverso vari matrimoni si unì con la Corte d’Aragona e mantenne la piena autonomia rispetto a Madrid e la Corona di Castiglia. Autonomia che perse in gran parte all’inizio del XVIII secolo, nella guerra di successione Spagnola e il primo re della dinastia dei Borbone, Filippo V. L’istituzione della Reale Accademia Spagnola nel 1713, tolse importanza alla lingua catalana.
Nella Spagna unita, la Catalogna continuò ad anelare all’indipendenza. Alla fine del XIX secolo riuscì a organizzare il movimento politico nazionalista che portò negli anni ’20 del Novecento al tentativo di proclamare la Repubblica Catalana, tentativo subito stroncato dal dittatore spagnolo Miguel Primo de Rivera.
Nel 1930 morì Primo de Rivera, nel 1931 cadde la monarchia e, conseguentemente, il potere centrale s’indebolì. Venne proclamata la Seconda Repubblica Spagnola e il 14 aprile 1931 la Catalogna si autoproclamò repubblica autonoma dello stato federale spagnolo. Non le venne riconosciuta lo status di repubblica, ma sì quello di autonomia. Nel 1934 Lluís Companys (nella foto a lato), presidente della Generalitat, proclamò l’indipendenza dello Stato catalano, ma anche in questa occasione ci fu lo scontro con il governo centrale.
Nel frattempo era necessario concentrare le proprie forze per combattere il profilarsi di un nuovo regime dittatoriale: quello di Francisco Franco. Tra il 1936 e il 1939 scoppiò la Guerra Civile Spagnola, fra i sostenitori della Repubblica Spagnola e i sostenitori della sollevazione militare guidata dal generale Franco (nella foto in basso). Quest’ultimo vinse la guerra e instaurò un regime dittatoriale, il franchismo, che terminò nel 1975 con la morte del gen. Franco.
Durante la guerra civile la Catalogna combatté generosamente nelle file repubblicane e pagò duramente la sconfitta. Durante il franchismo, fra l’altro, vide reprimere ogni manifestazione ed espressione della propria cultura: proibito anche l’uso della lingua catalana, come era accaduto già nelle fasi più sfortunate della storia della regione.
Esaurito il franchismo, la Spagna affronta la cosiddetta Transizione democratica: torna la Corona dei Borbone (1975), viene proclamata la monarchia parlamentare, nel 1978 viene scritta la Carta Costituzionale e la Catalogna ottiene l’autonomia, insieme ad altre 16 Comunità spagnole. A Barcellona si torna a parlare d’indipendentismo ma per arrivare alle organizzazioni politiche, bisogna aspettare l’inizio del nuovo millennio, che portano al referendum del 2014 e, a quello, come abbiamo visto assai discusso, dell’ottobre del 2017.
La geopolitica ha il suo corso e considerarne l’evoluzione è un passo fondamentale che ogni slancio indipendentistico, probabilmente, dovrebbe considerare. Noi ci limitiamo a evidenziare come anche l’istituto referendario possiede dei contorni ben specifici che sono da conoscere e considerare e come ogni referendum deve essere frutto di un’accurata elaborazione socio-economica, culturale e politica, nel senso più neutro e ampio del termine.
Ora non ci resta che aspettare il risultato.