La Grande muraglia verde africana
Una grande muraglia verde per fermare il deserto africano che avanza, ma anche per creare lavoro e combattere la povertà e la crisi climatica. Un piano multiforme da attuare attraverso il rimboschimento per ripristinare, complessivamente, 100 milioni di ettari del paesaggio forestale dal Maghreb all’Africa subsahariana, con un focus speciale sulle zone con la pluviometria più bassa, dai 100 ai 400 millimetri.
Queste le intenzioni e le azioni di The Great Green Wall, programma deciso nel 2005 dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo delle Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara e consacrato e reso operativo nel 2010 con la fondazione dell’Agenzia Panafricana della GMV (Great Green Wall for the Sahara and Sahel Initiative) che oggi coordina le iniziative, nell’ambito del progetto, di 22 Paesi.
A contribuire al progetto, a livello internazionale sono, tra gli altri, la FAO, la Banca Mondiale, l’UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione ratificata da 193 Paesi del mondo, fra i quali l’Italia) e l’Unione Europea; per l’Africa invece sono impegnate numerose organizzazioni coordinate dall’Unione Africana e dall’Agenzia panafricana per la GMV, il cui direttore scientifico è Abakar Zougoulou.
A 5 anni dalla sua fattività, il progetto, nonostante orbiti in aspre controversie e fornisca dati contraddittori, dimostra tutta la sua validità sia per il numero di persone coinvolte sia come esempio emblematico di come il verde e la sua cura siano rimedi indispensabili contro il surriscaldamento climatico.
Il numero di marzo 2020 della rivista Nigrizia tratteggia un’accurata analisi dei risultati ottenuti finora così come delle criticità.
Rigenerazione
Raccogliendone i dati e concentrandoci anzitutto sugli esiti positivi constatiamo che per l’UNCCD gli ettari rigenerati sono 28 milioni e 12 milioni gli alberi piantati. L’Agenzia Panafricana, invece, rispetto alla rigenerazione della terra riporta un numero inferiore (3 milioni di ettari) ma aggiunge un dato importante, gli 11mila posti di lavoro creati.
Molto impegnati nel progetto si stanno dimostrando Senegal, Niger, Ciad, Burkina Faso, Nigeria, Mali e, soprattutto, l’Etiopia che lo scorso luglio ha sorpreso il mondo piantando in una sola giornata 350milioni di alberi: d’altronde il suo piano nazionale prevede la piantumazione di 4 miliardi di alberi in un breve lasso di tempo.
Il progetto man mano che avanza aggiusta il tiro, avverte dalle pagine di Nigrizia il direttore scientifico Abakar Zougoulou, e corregge le ricadute involontarie ma tipiche dei grandi piani internazionali che tendono a inserire tecnologie avanzate ma non adatte alle colture locali, finendo con aggravare le difficoltà già in atto. Ed ecco i rimedi, in alcune zone le grandi zone boschive sono state sostituite dagli orti urbani che non intralciano il flusso delle comunità e dei villaggi: sistemi agrosilvopastorali che includono la partecipazione delle donne, ponendo cosi attenzione sulla parità di genere. Si fa dialogare la tecnologia con le conoscenze e le tradizioni locali come ad esempio l’applicazione della pratica zaї, la tecnica agricola del Burkina Faso, dove si fertilizza il terreno attraverso piccoli buchi concimati che raccolgono l’acqua.
Le criticità
In Africa, com’è noto, alcuni degli Stati non godono ancora della stabilità politica, quindi, il progetto si sviluppando in modo non uniforme: per zone dove ha generato coinvolgimento della società civile, realizzazione di aree verdi e lavoro, altre si trovano ancora nella fase di progettazione, e per altre ancora è stato un fallimento. Guerre civili, conflitti d’interessi fra le parti coinvolte, ingerenza di privati stranieri che vedono nella grande muraglia possibilità di lucro, sono i maggiori ostacoli da superare.
Abakar Zougoulou, spiega su Nigrizia come, nei primi anni sul piano istituzionale è stata la stessa Africa ad avere dei problemi, con i 2 attori presenti, l’Unione Africana e l’Agenzia GMV, che spesso si sono auto-ostruite, sovrapponendosi senza la necessaria collaborazione mutua.
Grave errore è stato commesso da alcuni Paesi partecipanti come l’Algeria e la Cina, i quali, non rispettando i criteri autoctoni della vegetazione, hanno riforestato con piante che non si adattano né al clima né alle condizioni del suolo.
Colpevole anche l’atteggiamento della Banca Mondiale che non ha vigilato abbastanza sulla direzione dei progetti che finanzia e che sono finiti per essere realizzati oltre la zona prioritaria d’intervento. Ma è la Banca Mondiale a dover essere un sorvegliato speciale perché non si comporti come in passato, quando erogando grandi somme di denaro, ha ottenuto in cambio riforme del sistema politico-istituzionale, come le privatizzazioni e il progressivo cedimento delle norme statali.
Ma la lente d’ingrandimento va mantenuta ben salda anche su alcuni Paesi dell’Unione Europea che insieme alla Cina, mediante la collaborazione per la realizzazione del Grande Muraglia Verde, potrebbero perpetuare le dinamiche del neocolonialismo nel grande continente africano.