Non si uccide la verità, uccidendo i giornalisti
Il 15 maggio 2017 Javier Valdez, noto giornalista e scrittore messicano, è stato ucciso. Poche ore dopo è stata la volta del giovane collega Jonathan Rodríguez. Sesta e settima vittima della stampa messicana, dall’inizio del 2017. Tanti. Troppi. Si teme che si superi il numero delle vittime del 2016, durante il quale 11 giornalisti hanno perso la vita per portare a compimento il proprio lavoro. Annus horribilis il 16, da quando, dal 2000, si è verificata una recrudescenza della violenza che investe tutto il Paese. Da allora sono oltre 100, cifra approssimativa per difetto, i giornalisti messicani uccisi e nella maggior parte dei casi, delitti rimasti impuniti.
Per le organizzazioni Reporter senza Frontiere (RSF) e Amnesty International il Messico occupa il terzo posto, dopo Siria e Afganistan e il primo in Sud America, nella classifica dei paesi più pericolosi per i giornalisti.
Javier Valdez (nella foto a lato) era il fondatore e direttore del settimanale Riodoce, corrispondente del quotidiano La Jornada e collaboratore dell’agenzia di stampa francese AFP, vincitore, fra gli altri premi, del CPJ International Press Freedom Award del 2011. Come scrittore si era distaccato per i libri-inchiesta dedicati al narco-traffico. Ha perso la vita a 50 anni, crivellato dai colpi dei killer, a bordo della sua auto, a Culiacán, capitale dello Stato di Sinaloa, nel nord del Messico, mentre si recava al lavoro. Anche il 26nne Jonathan Rodríguez era in macchina con la mamma, nell’attentato ferita gravemente, colpiti nella città Autlán de Navarro, nello Stato di Jalisco, nell’ovest del Messico.
Alla loro morte il Comitato di Protezione dei Giornalisti del Paese, ha pubblicato un comunicato che condanna il Governo centrale messicano per non riuscire a catturare gli assassini.
Al comitato, in questi giorni, fa eco l’Università Iberoamericana di Città del Messico. Come riferisce il quotidiano spagnolo El Pais, il Centro Programa Prensa y Democracia (PRENDE) della facoltà di Scienze della Comunicazione della citata università, ha pubblicato un comunicato con il quale condanna “il clima di violenza contro il giornalismo e la libertà d’espressione e il silenzio delle autorità (messicana ndr) di fronte alle aggressioni, intimidazioni e omicidi di giornalisti”. Omicidi, rincara il comunicato, realizzati in modo “insolente e visibile” tale da provocare una “moltiplicazione e normalizzazione” dei delitti stessi.
Il comunicato di PRENDE non esita a puntare il dito contro il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, perché nonostante le sue promesse di rinforzare le misura di sicurezza a protezione dei giornalisti, in realtà manca “la volontà politica di fare luce sulle cause e le ragioni” di tanta violenza.
E pone l’accento “sull’eccessiva burocratizzazione” che rende “inefficaci” le procedure” elaborate ad hoc per perseguire questi delitti. “Attaccare la stampa significa attaccare il nucleo stesso della democrazia” ricorda il comunicato “i giornalisti rendono un servizio alla società” perché contrastano “i possibili abusi del potere egemonico”
Nelle stesse ore in cui il centro accademico messicano pubblicava il comunicato, l’European Federation of Journalists (EFJ), secondo El Pais, riunita nell’annuale assemblea, ha lanciato un appello al Governo messicano affinché ponga fine all’impunità, persegua gli autori e mandanti dei delitti e prevenga gli atti criminali.
Una richiesta, che sia dopo la morte di Jonathan Rodríguez, e ancora il 4 giugno 2017 a Monterrey per commemorare ancora una volta Javier Valdez, si è levata dalle piazze messicane. Perché non ci uccide la verità, uccidendo i giornalisti