World Press Photo 2020. Il risveglio di Ewa tra l’urlo dei giovani per il loro diritto alla vita

Tra i vincitori del World Press Photo 2020 c’è il fotografo  Tomek Kaczor, il quale con il suo servizio intitolato Awakening (Risveglio)  – pubblicato  dal Duży Format – Gazeta Wyborcza – ha fatto conoscere al mondo la storia di Ewa, una ragazza armena di 15  anni che si  recentemente svegliata dallo stato catatonico causato dalla sindrome della rassegnazione.  Kaczor ha ritratto la ragazza il 17 agosto 2019 seduta su una sedia a rotelle, con il sondino per l’alimentazione, affiancata dai suoi genitori, in un centro di accoglienza per rifugiati a Podkowa Leśna, in Polonia.


La sindrome della rassegnazione (acronimo RS da Resignation Syndrome ) rende i pazienti passivi, immobili, muti, incontinenti, incapaci di mangiare, bere e di  rispondere a qualsiasi  stimolo fisico o di dolore e nei casi più gravi,  si ritrovano in coma per mesi. Colpisce i bambini e gli adolescenti, figli di rifugiati nel corso dei lunghi processi a cui le famiglie sono sottoposte per ottenere l’ asilo, con il rischio di essere rimpatriati. Sembra che questa sindrome sia più diffusa tra i bambini rom, yazidi e balcani.

La sindrome è stata riscontrata per la prima volta alla fine degli anni Novanta e si pensava fosse confinata tra i piccoli rifugiati in Svezia. Tuttavia tra il 2015 e il 2016  il Consiglio Nazionale di Sanità  dichiarò  169 episodi di SR, e, da allora sono stati segnalati altri casi nel centro di detenzione di rifugiati a Nauru, gestito dal governo australiano.

La remissione dalla sindrome  e il ritorno graduale alla normalità  coincidono con il miglioramento delle condizioni di vita.

Ewa, armena, è stata colpita dalla RS mentre la sua famiglia  cercava di ottenere l’asilo in Svezia, con la minaccia essere espulsa in Polonia come  primo approdo in Europa, dove effettivamente giunsero dopo l’espulsione dal paese scandinavo.  Ewa è uscita dalla RS dopo 8 mesi dal suo arrivo in territorio polacco.

Non è un caso forse che Kaczor (è stata la prima volta che ha inviato una foto ad un concorso), oltre che fotografo, è animatore culturale ed educatore. Si è laureato presso l’Istituto di Cultura polacca all’Università di Varsavia, ha studiato all’Accademia di fotografia di Varsavia. Come riporta press.pl Kaczor ha ancora contatti con l’eroina della sua fotografia.  L’adolescente ha riacquistato una vita completamente normale va a scuola, parla polacco, si è integrata. Tuttavia, la situazione della sua famiglia è ancora sospesa, gli è stata rifiutata la protezione internazionale in Polonia. Nel loro caso è in sospeso l’appello, chiarisce il fotografo.

La miglior fotografia

La World Press Photo Foundation  di Amsterdam ha annunciato i nomi dei vincitori della 63° edizione del proprio premio di fotogiornalismo  il 16 aprile 2020 dal  web e senza la consueta cerimonia di premiazione a causa del Covid19.   Al concorso hanno partecipato oltre 4 mila fotografi, provenienti da 125 Paesi; la giuria  ha visionato 73.996 immagini, 44 sono stati i finalisti, tra i quali 6 fotografi italiani.

Straight Voice, scattata il  19 luglio 2019 dal fotografo giapponese Yasuyoshi Chiba per Agence France-Presse, è stata proclamata  foto dell’anno.  L’immagine, vincitrice della principale categoria,  mostra un giovane mentre recita poesie di protesta civile illuminato dalle torce dei telefoni cellulari dei manifestanti, durante un blackout a Khartum, in Sudan.

Le manifestazioni in Sudan sono iniziate nel dicembre 2018 per chiedere la fine del trentennale regime del dittatore Omar al-Bashir,  rimosso dall’incarico  l’11 aprile 2019, da un colpo di stato militare. Le proteste sono continuate affinché si nstaurasse un governo civile. Il 3 giugno le forze governative hanno aperto il fuoco sui manifestanti disarmati, decine di persone sono state uccise e molte altre arrestate e sottoposte a ulteriori violenze, ricevendo la condanna dell’Unione Africana e della comunità internazionale.

Le proteste sono continuate e i militari hanno imposto il  blackout e impedito l’accesso a Internet. Ma i manifestanti non si sono fermati, come illustra la fotografia, e il movimento democratico resistendo a un ulteriore giro di vite da parte dei governanti, nell’agosto 2019, è riuscito a firmare un accordo di condivisione del potere con i militari.

Il miglior reportage

Vincitore dell’altrettanto importante riconoscimento del World Press Photo, la categoria Photo Story dell’anno,  è stato il fotografo  Romain Laurendeau per il suo reportage Kho, the genesis of a revolt (Kho, genesi di una rivolta).

Kho, in arabo nord-africano colloquiale, significa fratello. La foto-storia racconta la storia del profondo disagio della gioventù algerina, la quale, sfidando l’autorità, ha ispirato il resto della popolazione, dando vita così al più grande movimento di protesta nel Paese degli ultimi decenni. I giovani rappresentano oltre la metà della popolazione algerina e, secondo un rapporto dell’UNESCO, il 72% delle persone con meno di 30 anni è disoccupato.

La storia dell’Algeria è costellata da momenti di rivolta popolare, come il  Black October del 1988, duramente repressa in 5 giorni provocando oltre 500 vittime e seguita da un decennio  di violenze e disordini.  Dopo 30 anni  quei tempi bui non sono stati nè dimenticati né superati. In un Paese traumatizzato, l’elevata disoccupazione porta alla noia e alla frustrazione di molti giovani che non si riconoscono nelle istituzioni e nello Stato e cercano un’identità e vie di fuga. Le cercano  nel calcio formando gruppi di tifosi come gli Ultras,  attivi, a volte anche violenti, nelle proteste politiche. Oppure riunendosi in luoghi  che chiamano diki, lontano dalle convenzioni e dalle regole sociali fortemente conservatrici.

Ma il senso di comunità e solidarietà  non sono sufficienti per sopportare le cattive condizioni di vita. E, nel febbraio 2019 sono stati migliaia i giovani della classe operai tornati in piazza a sfidare il presidente,  Abdelaziz Bouteflika, e contribuendo alle sue dimessosi del 2 aprile, dopo 5 candidature e 20 anni al vertice dell’Algeria.

Ogni foto documenta, illustra, racconta il vigore e il grido socio-politico, umano, inarrestabile delle giovani generazioni, in modo discretamente violento, che arriva al cuore e alla mente. Ci si sente disperatamente impotenti di fronte alla bellezza tragica di queste immagini, ma al tempo stesso, un brivido intenso ci pervade per quella forza indicibile della “potenza della non rassegnazione”, un messaggio per tutti noi.

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