La chiesa Millenaria di Ruta. Il luogo del cuore
La vita corre troppo in fretta, non c’è più tempo per leggere, per scrivere le belle lettere di un tempo. I tuoi occhi vedono immagini scorrere velocemente, il computer ti porta in ogni angolo del mondo. Le notizie non fanno in tempo ad essere assimilate che già sono sostituite da altre. Così quando apri la pagina on line di un quotidiano quasi vorresti fuggire subito, le buone novelle vengono pubblicate con il contagocce e ci si sente subito demoralizzati.
Poi a lato di quelle pagine, c’è una rubrica che non puoi fare a meno di ‘aprire’, sono le foto del giorno, inoltrate dai lettori, che vengono pubblicate su Instagram e così ti si risolleva un po’ il morale.
L’Italia è talmente bella che non puoi fare a meno di soffermarti su quelle foto. Mari, cieli, nuvole, fiori e piante fanno da valletti a monumenti, vie, borghi e luoghi splendidi. Di alcuni non eri a conoscenza e ti sembrano usciti da un mondo che non c ‘è, altri invece fanno parte di quel tuo patrimonio dei ricordi che ti torna in mente e lo rincontri con tanta nostalgia.
Quando non si facevano i selfie ed il telefonino non esisteva, le immagini che scattavi con la macchinetta impiegavano giorni a prendere vita. Dovevi terminare il rullino, portarlo al fotografo ed il tempo per rivedere quelle immagini talvolta era lungo. Così quando ti ritrovavi tra le mani quella busta Kodac dai colori vivaci provavi emozione nell’aprirla e i tuoi…..”ti ricordi” si sprecavano.
Così, pochi giorni fa ho rivisto on line la meravigliosa chiesetta Millenaria del Sacro Cuore di Gesù costruita sul cocuzzolo della collina che sale alle spalle di Camogli, fino a Ruta a 300 metri sul livello del mare.
È per me un luogo del cuore. Nata in quel paradiso, in tempo di guerra, con il rombo nelle orecchie di Pippo, l’aereo che avvisava gli abitanti di un possibile e prossimo bombardamento, quell’antico manufatto in pietra a vista, edificato nel 1200, anche se da un documento del 3 aprile 1192, confermerebbe che la costruzione in stile romanico, abbia visto la luce in un periodo precedente, ha sempre accompagnato i miei primi passi. Era una tappa obbligata, quando mano nella mano con zio Michele, giungevamo fin lassù, prendevamo fiato dopo l’iniziale salita che da casa portava alla chiesa, e poi ancora su, lungo scalini in pietra che ci consentivano di superare poggioli e fasce, fino a raggiungere il monte Esoli donatore di funghi, dalle “colombine” ai “galletti” ai profumatissimi porcini, e da dove potevamo quasi toccare il cielo con un dito.
L’immagine ritrovata su Instagram è stata così un regalo, perché mi sono tornate alla mente quelle domeniche d’estate quando la chiesa ospitava i parrocchiani ed i villeggianti e, adornata con fiori di campo, somigliava ad una bomboniera. Al termine della Messa era gioco forza fermarsi sul piazzale e guardare giù dove il cielo si tuffava nel mare e la punta del Monte di Portofino sembrava voler raggiungere l’ultimo istmo di fronte, ove lampeggiava la lanterna del porto di Genova e così chiudere in un cerchio di luce il Golfo Paradiso.
Dunque questa chiesetta, che il Papa Gregorio IX attesta con atto del 13 maggio 1239 fosse affidata a canonici, nominata sia da Dante Alighieri sia da Francesco Petrarca nei loro scritti, purtroppo sovente è chiusa, ma è impressa nei miei occhi anche a distanza di tanti anni. Perché quando si chiudono gli occhi e si “vede” solo con il cuore sai che la cuspide del campanile penetra la volta azzurra del cielo e può portare lassù ogni tua preghiera.