WhatsApp in città
La comunicazione non è quello che diciamo, bensì quello che arriva agli altri (Thorsten Havener)
Vivere la propria città attraverso WhatsApp. È quanto sta capitando a sempre più cittadini italiani che hanno la fortuna e il merito di abitare in realtà locali che stanno sperimentando questo canale di comunicazione diretta e bidirezionale. Le esperienze, nel nostro Paese, sono talmente tante e così diversificate da mettere l’Italia in testa ai “pionieri” a livello mondiale di questo nuovo contesto di comunicazione pubblica.
DOVE SONO I CITTADINI? – Perché chiunque abbia mai avuto la sventura e l’impegno di fare della comunicazione tra istituzione e cittadini il proprio lavoro sa che il primo problema da risolvere è: beccare i cittadini. Sembra strano, ma il principale difetto della comunicazione pubblica in tutti i contesti occidentali, (dove più, dove meno) è proprio il tonfo nel vuoto che spesso fanno i propri comunicati, i propri articoli, i propri dispacci. Questo problema con WhatsApp è risolto alla radice: perché i cittadini su WhatsApp ci sono per conto loro. Basta saperli intercettare, farsi aprire anche solo una volta la porta del loro smartphone, e il gioco è fatto.
I SERVIZI – Un gioco che, come viene raccontato dal giornalista e sociologo Francesco Di Costanzo in “WhatsApp in città? La nuova frontiera della comunicazione pubblica”, agile librettino capace di raccontare con dovizia e cura le più interessanti esperienze italiane di questo tipo, crea molto valore aggiunto.
Tanto per fare un esempio pratico: nei messaggi con i quali i cittadini dei Comuni, delle Aziende pubbliche e degli enti whatsappari hanno risposto alle sollecitazioni della loro pubblica amministrazione la parola largamente più usata è: “Grazie”. Ecco allora come fare a farsi aprire la porta: offrendo dei servizi.
Servizi che si possono riassumere, per sintesi e brevità, in: tempestività, informazioni, utilità. E poi, anche con parole un po’ meno istituzionali, tipo cool, trendy, wow. Cioè: così come se mandiamo un sms o un messaggino su whatsapp alla nostra compagna o al nostro amico non è più la stessa cosa (grazie a emoticons, alla multimedialità, alle personalizzazioni), allo stesso modo se la nostra pubblica amministrazione si dimostra giovane e brillante scrivendoci tramite lo smartphone siamo più inclini a conferirle stima e fiducia.
Ecco che allora per le pubbliche amministrazioni decidere di sbarcare sul social network privato della messaggistica istantanea equivale pure ad una operazione simpatia.
SMART CITY (?) – Ora, è sufficiente tutto questo per dire di abitare in una smart city, ovvero (con traduzione molto limitante) in una città intelligente? Probabilmente, no. Ma è comunque molto ma molto interessante.
Prima di tutto, perché in questo modo si crea pure una rete di cittadini che prima si mettono in circolo a caccia di semplice, utilitaristica informazione, e dopo diventano parti integranti di un diffuso sistema di controllo e di partecipazione, dandoci, insieme al diritto di essere informati, anche il dovere di informare.
Per segnalare la vandalizzazione di una pensilina, ad esempio, prima si doveva andare in Comune, cercare l’ufficio competente, compilare un modulo cartaceo che chissà quanto tempo impiegava ad arrivare sulla scrivania giusta; adesso, basta scattare una foto e mandare un messaggino, creando una sorta di controllo sociale 2.0 che temevamo di non poter conseguire più. Non è ancora abbastanza, ma (per ora) ce lo faremo bastare.