Vivere senza smartphone si può e (forse) si deve
Si può vivere senza essere permanentemente connessi con il mondo, pur svolgendo una professione importante e indipendente? Si può eccome, racconta all’Ansa Pierpaolo Cortellini (nella foto a lato), ricercatore, past-president della Federazione Europea di Paradontologia e autore di oltre 150 pubblicazioni. E fa bene allo spirito perché concede una libertà fondamentale, quella di “non essere interrotto e controllato in continuazione”. E, probabilmente fa bene, alla salute, come forse sapremo quando la scienza raggiungerà un parere unanime (e avrà la libertà di esprimerlo) sull’effetto dell’emissione delle onde elettromagnetiche sull’uomo.
Ma come si vive? “Vivo come vivevano le persone prima che inventassero il cellulare – racconta Cortellini – se qualcuno mi vuole raggiungere, mi cerca sul telefono fisso, a studio o trova la mia e-mail su internet. Quando viaggio per lavoro, appena raggiungo un posto, comunico a casa che sono sano e salvo”.
Né vale più di tanto, secondo Cortellini, conoscere le notizie in tempo reale, come avviene con lo smartphone, perché spiega “non abbiamo bisogno di essere informati in ogni singolo istante di cosa accade nel mondo. Se lo sappiamo tre ore dopo o il giorno dopo non succede nulla”. In effetti, se ragioniamo sul concetto di informazione in tempo reale, si insinua il dubbio che potremmo trovarci davanti ad un falso mito tecnologico, generatore involontario di fake news; come riportano tutti gli approfondimenti sul tema degli ultimi tempi (ma si sapeva già) il giornalismo efficace richiede tempo per verifiche e completamento dell’informazione. Senza rivolgersi ai tanto vituperati e acclamati social network, basta seguire attentamente i canali televisivi all news per rendersi conto che l’informazione certa e precisa della notizia si ottiene almeno, dopo 24 ore dall’accaduto.
Altro motivo che ci tiene legati agli smarphone, incalza il giornalista dell’Ansa è il sentirsi indispensabili. “Io credo invece – risponde Cortellini – che le persone possano cavarsela bene anche senza di me; anche se non riescono a raggiungermi in ogni momento”. Infine la domanda della domande: al di là delle ragionevoli considerazioni finora fatte, come è riuscito a non cedere alla tentazione del cellulare intelligente? “Non ho mai iniziato a usarlo” risponde Cortellini.
Nonostante quest’attitudine il ricercatore non è ottimista nei confronti del ravvedimento dei connesso – dipendenti, perché afferma “è come ammalarsi di una malattia cronica e sperare di vederla regredire: fare un passo indietro è possibile ma molto complicato. Chi vuole farlo – termina Cortellini – deve lavorarci molto sopra”.
Uno sforzo notevole dunque, ma che probabilmente varrebbe la pena fare; in fondo basterebbe riflettere sulla semplicità tutta logica e razionale del comportamento del nostro ricercatore per concludere che lo smartphone è molto meno necessario di quanto pensiamo. A tutto vantaggio della nostra salute psico-fisica e senza contraccolpi per la carriera. Cortellini docet.