Giornalisti che non arretrano. Il rapporto Rsf va aggiornato

Il rapporto di Reporters sans frontières (Rsf) 2017 sui giornalisti uccisi nel mondo a 10 giorni dalla sua pubblicazione è già da aggiornare.

Il 20 dicembre 2017 è stato ucciso il cronista messicano Gumaro Pérez (nella foto a lato), portando così a 12 il numero dei reporter assasinati in Messico dall’inizio dell’anno.

Gumaro Pérez stava assistendo ad una festa natalizia organizzata dalla scuola frequentata dal figlio, quando un commando armato ha fatto irruzione nell’istituto è ha ucciso Pérez davanti agli scolari e ai rispettivi genitori. L’attentato è avvenuto nella città di   Acayucan  nello Stato di Veracruz, all’est del Messico, regione immersa nella spirale di violenza generata dalla lotta tra i cartelli della droga e dove si contano 23 giornalisti assassinati negli ultimi 13 anni.

Dei 12 periodisti uccisi nel Paese Sudamericano nel 2017, 4 hanno perso la vita nello Stato di Veracruz.

Gumaro Pérez scriveva per il sito La voz del Sur; dal 2015 era rientrato nella  Comisión de Atención y Protección de Periodistas de Veracruz, programma preventivo di sicurezza. Ma come riporta l’agenzia di stampa efe, il giornalista godeva della copertura soltanto mentre svolgeva il suo lavoro d’indagine.   La morte di Perez è stata condannata anche dall’Unesco. La direttrice generale dell’agenzia Onu, la francese  Audrey Azoulay, ha chiesto alle autorità del Messico di assicurare alla giustizia gli autori dell’omicidio.

La situazione messicana

Secondo l’Istituto internazionale della stampa (International press institute – IPI) il Sud America e i Caraibi sono i Paesi più pericolosi per i giornalisti.  E il Messico è lo Stato capofila della classifica dei paesi pericolosi a livello mondiale, pericolosità aggravata dalla debole attività delle autorità locali nell’applicare la legge.
Denuncia Barbara Trionfi, direttrice dell’IPI che dei 12 giornalisti uccisi in Messico, soltanto di 4 sono stati trovati gli autori. Degli altri 8 le indagini sono ferme, non esiste nessun indagato. “L’impunità degli assassini dei giornalisti” afferma la Trionfi “genera più omicidi”.

Tutti e 12 i giornalisti messicani indagavano sulla corruzione politica e il crimine organizzato.

Si comprende bene la situazione del Messico e della debole reazione delle sue autorità ricorrendo all’intervista che lo scrittore Don Wislow (nella foto a lato), profondo conoscitore dei narcos messicani, ha rilasciato ad Enrico Deaglio in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Corruzione.  “Oggi la produzione di droga dei cartelli messicani vale tra l’8 e il 13 per cento del Pil del Paese: sono di fatto un secondo potere” spiega Wislow “Anni fa sono stati loro a comprare i bond emessi dal governo messicano e a salvarlo dal default. Dopo il crollo di Wall Street del 2008 è stato il denaro liquido di Las Vegas e Miami a far partire la ripresa”.

La corruzione politica

Lo scrittore nordamericano conferma quindi la diffusa opinione secondo la quale l’industria illecita della droga è il settore dell’economia mondiale che negli ultimi anni ha subito il maggiore incremento, e i politici non ne sono estranei.

Non esita a metterlo nero su bianco anche l’articolo L’impero della droga del sito National Geographic.it;  spesso sono gli stessi Governi che partecipano alla gestione del commercio degli stupefacenti, allentando i cordoni della giustizia in cambio di partecipazioni agli utili ottenuti attraverso la produzione e il commercio della droga.  Da cui il mercato clandestino della droga “contribuisce fortemente alla corruzione politica”.

L’attentato a Kabul

Nell’elenco stilato da Rsf, andranno inseriti anche i giornalisti che hanno perso la vita nell’attentato a Kabul il 28 dicembre 2017.

3 esplosioni hanno distrutto l’edificio, dove albergavano le sedi del Tabian Media Center, centro culturale sciita e l’agenzia di stampa afgana Sadai Afghan (Voce afghana), secondo la stampa locale, il probabile bersaglio dell’atto terroristico.

L’attentato rivendicato dal sedicente stato islamico attraverso la sua agenzia Amaq, ha provocato 40 morti e 30 feriti. Tra le persone che hanno perso la vita sembrano esserci 3 giornalisti.

Il rapporto di Reporters sans frontières 

Ai 65 giornalisti uccisi riportati dal rapporto di Rsf, vanno aggiunti quindi almeno altre 4 vittime e da rivedere il calo del 18% registrato rispetto al 2016 (79 giornalisti uccisi) e in generale rispetto agli ultimi 14 anni.

Il rapporto dedica ampio spazio anche alla situazione della stampa in Cina che rimane, secondo Rsf, “la più grande prigione di gionalisti al mondo e perfeziona le sue misure. Contro gli oppositori non applica più la  pena di morte, ma lascia consapevolmente che la loro salute si degradi in prigione fino alla loro morte”.

Un capitolo è riservato alla Siria, per Rsf “fabbrica di ostaggi stranieri”. Ce ne sono 29 di ostaggi in Siria di cui 7 sono giornalisti stranieri”.

Rispetto al 2016 è raddoppiato il numero delle giornaliste: 10 nel 2017 contro le 5 uccise nel 2016.

Unione Europea: Daphne Caruana Galizia

Tra le 10 che hanno sacrificato la vita per il loro lavoro, ricordiamo la blogger Daphne Caruana Galizia, vittima di un attentato perpetrato a Malta (Unione Europea), nell’ottobre 2017. Daphne investigava sui MaltaFiles del filone dei Panama Papers, l’inchiesta internazionale che indica Malta come lo “Stato nel Mediterraneo che fa da base pirata per l’evasione fiscale nell’Unione Europea”.

Dal suo blog Running Commentary, Dapne (nella foto a lato) è stata la prima ha pubblicare il coinvolgimento di alti personaggi del governo maltese con i paradisi fiscali.  È morta a causa della deflagrazione di un’autobomba (nella foto a lato), il 16 ottobre scorso. Quindici giorni prima aveva aveva presentato alla polizia una denuncia di minacce di morte nei suoi confronti.

A oltre 2 mesi dalla sua tragica scomparsa   non ci sono notizie riguardo gli sviluppo delle indagini dell’attentato.

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