Fuoco amico in Campania. Fa notizia parlarne male mentre l’innocenza passa sotto silenzio
La Procura della Repubblica di Napoli ha dissequestrato 18 fondi agricoli nell’area di Caivano, una della località centrali della zona denominata “terra dei fuochi”, perché giudicati non inquinati. Il provvedimento risale al 2 novembre 2016 dopo una storia giudiziaria durata tre anni che ha fermato il lavoro e creato una cattiva fama a tanti agricoltori locali, come apprendiamo dal conduttore settimanale di “Prima Pagina” di Radio Rai 3, il giornalista Carlo Puca, il 2 dicembre 2016.
Nel sito del quotidiano Il Mattino del 9 novembre 2016, troviamo la testimonianza di un agricoltore coinvolto nella vicenda, che racconta la sua travagliata storia professionale iniziata nel luglio del 2013, quando fu costretto a gettare un raccolto di pomodori che stava irrigando del valore di 15mila euro, perché le analisi dell’Arpac avevano decretato l’inquinamento dell’acqua e, di conseguenza, del terreno e del fondo.
“Dopo aver fatto domanda di riesame, chiedendo il campionamento del fondo e dei pomodori” continuiamo a leggere su Il Mattino “ho effettuato a mie spese le analisi giurate, dove i valori sono risultati nella norma.
Le contro analisi dell’Arpac sono arrivate 2 anni dopo, con la comunicazione dell’Asl che ci autorizzava a coltivare i fondi, con la clausola di dover effettuare analisi sui prodotti”. Ma due anni sono tanti e l’agricoltore al terzo anno è costretto a lasciare i campi incolti. Nel frattempo era pervenuta “l’intimazione di effettuare la bonifica dei fondi perché era stata riscontrata la presenza di berillio”.
Il berillio è un metallo alcalino terroso. A quel punto l’agricoltore, decise di fare ricorso al Tar perché l’operazione di bonifica risultava essere molto costosa, in quanto prevedeva di “rimuovere tutto lo strato superficiale del terreno, ma soprattutto perché quel metallo è presente in tutti i terreni vulcanici derivanti dalle ceneri dei secoli passati”. Infatti, 3 anni dopo racconta l’agricoltore “sono state scoperte analisi precedenti di almeno 10 anni in cui si attestava che la presenza di berillio faceva parte del valore di fondo naturale della zona”.
“La cosa assurda” conclude l’agricoltore “è che in questi anni i sequestri sono stati a macchia di leopardo. Magari il vicino di terreno a 20 metri ha continuato a irrigare perché non sottoposto a verifiche. Dopo 3 anni d’inferno per noi i valori sono di nuovo entro i limiti. Forse è stato un miracolo, sono rientrati da soli. La cosa che mi fa più male è il ricordo di chi si faceva intervistare dicendo che quei pomodori, i miei pomodori, avevano un cuore malato”.
Il Mattino ha raccolto anche la dichiarazione di Salvatore Loffredda direttore di Coldiretti Campania, fatta subito dopo la sentenza del dissequestro. Loffredda oltre a chiedersi chi pagherà i danni agli agricoltori direttamente coinvolti e in generale a tutto il settore agroalimentare della regione, riporta un dato importante: Antonio Limone, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico ha più volte spiegato che i prodotti campani sono “innocenti”. Inoltre, rileva il direttore i 20mila dati raccolti e i 4 milioni di campionature realizzate “sono la certificazione pubblica che la vicenda terra dei fuochi è stata pompata enormemente”.
“Questo dissequestro, nel cuore di un territorio ormai etichettato con quella definizione (terra dei fuochi ndr)” ha concluso Salvatore Loffredda “dimostra ancora una volta che abbiamo pagato un prezzo troppo alto e ingiusto. Fa notizia parlare male della nostra terra (la Campania ndr), mentre l’innocenza passa sotto silenzio”.