CAR-T, il futuro della lotta ai tumori
Otto Centri sul territorio di alto profilo e competenza con elevati standard di qualità e sicurezza, autorizzati alla somministrazione delle CAR-T (Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Papa Giovanni XXIII a Bergamo, Istituto Nazionale dei Tumori, Ospedale San Raffaele, Humanitas, Ospedale Niguarda e Policlinico a Milano, Spedali Civili a Brescia e Ospedale San Gerardo pediatrico a Monza), con la partecipazione di specialisti e ricercatori allo sviluppo e alla sperimentazione delle terapie.
Con CAR-T sono indicate le cure che ingegnerizzano i linfociti T per aiutarli a combattere i tumori e che rappresentano la grande speranza nel trattamento delle malattie oncologiche e oncoematologiche.
Le CAR –T approvate con tassi di remissioni fino all’82%
Sono sei le CAR-T già approvate a livello europeo, con tassi di remissione completa fino all’82% per la Leucemia Linfoblastica Acuta, il tumore più frequente in età pediatrica; tra il 40% e oltre il 50% per i Linfomi non-Hodgkin molto aggressivi (Linfoma diffuso a grandi cellule B, Linfoma a cellule B di alto grado e Linfoma primitivo del mediastino); una risposta completa nel 53% dei pazienti con Linfoma follicolare e nel 67% dei pazienti con Linfoma a cellule mantellari recidivante o refrattario; e un importante miglioramento della sopravvivenza (2 anni per oltre il 50% dei pazienti) nel Mieloma.
Attualmente queste terapie vengono studiate anche per l’impiego contro altre malattie ematologiche e contro i tumori solidi.
Il meccanismo di azione
“Le cellule CAR-T rappresentano una forma di immunoterapia innovativa- dichiara il docente di Ematologia del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Università di Milano e ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo Alessandro Rambaldi – e il meccanismo d’azione di questo nuovo trattamento biologico si basa sulla modificazione genetica dei linfociti T di un paziente affetto da linfoma, leucemia acuta linfoblastica o mieloma”.
La modificazione genetica, come spiega il professore permette ai linfociti T di “riconoscere in modo molto specifico dei bersagli che sono espressi dalle cellule tumorali”. Come sottolinea Rambaldi, “prima di questa forma di terapia, i pazienti di cui stiamo parlando non avevano a disposizione terapie potenzialmente curative o molto efficaci quando la malattia giungeva nelle fasi più avanzate, cioè era ricaduta o non aveva risposto mai alle terapie convenzionali. Queste terapie si sono dimostrate estremamente efficaci in pazienti che erano e sono in fase avanzatissima della loro storia di malattia”.
Attualmente, come racconta il professor Rambaldi, “stiamo già spostando la terapia CAR-T in fase più precoce nel trattamento di questi pazienti e nei prossimi anni ci aspettiamo che le indicazioni al trattamento con queste cellule aumentino”.
I risultati migliori
Uno dei tumori del sangue per il quale il trattamento con le terapie CAR-T si dimostra essere una innovativa frontiera di cura è la Leucemia Linfoblastica Acuta a cellule B per il trattamento della quale rappresentano “la nuova frontiera” anche nei casi di ricaduta o refrattaria “con un’altissima probabilità di risposta in pazienti altrimenti non curabili- spiega Federico Lussana, professore associato di Ematologia, Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Università di Milano e ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo- il tasso complessivo di risposta va dal 70% a oltre l’80% dei casi”.
I limiti
Invece il limite maggiore delle CAR-T, sottolinea Lussana, soprattutto nell’adulto, è la durata della risposta. “Infatti, almeno il 50% dei pazienti va incontro a una ulteriore recidiva. Pertanto, quello su cui dobbiamo lavorare per migliorare queste terapie, da una parte è lo sviluppo di nuove piattaforme di produzione che consentano di ottenere prodotti CAR-T in grado di determinare una guarigione definitiva in un maggior numero di pazienti; dall’altra comprendere meglio i fattori pre e post-infusione delle CAR-T predittivi di risposta al trattamento sui cui basare eventuali scelte terapeutiche successive”.
Equità e sostenibilità
C’è poi un aspetto più politico e sociale, su cui a detta di Rambaldi bisogna accelerare. “Viviamo in un Paese che ha lo straordinario sistema sanitario nazionale che i nostri genitori hanno creato, che noi dobbiamo difendere e che sostanzialmente dà la possibilità a tutti i pazienti di avere accesso progressivamente. Sapete, certe volte si dice che in America la terapia è già sul mercato. Certo, lo è però per quelli che pagano mezzo milione esatto per il prodotto, poi c’è l’assistenza. Il nostro sistema sanitario come quelli europei, arriva con una velocità un pochino più moderata perché ha la grande ambizione, e fino adesso è stato possibile, di offrire questa cura e queste cure a tutti, e il valore di un sistema centralizzato come il nostro è anche quello di poter contrattare sui prezzi e quindi coniugare equità a sostenibilità”.
L’importanza dell’interesse dell’ opinione pubblica per la ricerca
Tuttavia, come spiega Rambaldi “una parte fondamentale di questa sostenibilità nasce dal fatto che il sistema sia attrattivo per chi fa ricerca, per chi fa ricerca accademica, per i laboratori in Italia, ma anche per l’industria, perché se noi siamo un sistema attrattivo, noi possiamo accogliere i nuovi prodotti che arriveranno sul mercato qualche anno prima e quindi- osserva- gli ospedali hanno il grande dovere di rendere la ricerca fattibile. Questo invece- prosegue l’ematologo- è qualcosa che nel nostro Paese non sempre accade. Nel nostro Paese c’è un po’’ di difficoltà a fare ricerca e bisogna che l’opinione pubblica se ne accorga”.
“L’impiego delle CAR-T e i risultati importantissimi fin qui ottenuti in alcuni tumori del sangue e in pazienti che non avevano più alcuna possibilità terapeutica hanno aperto uno scenario che solo alcuni anni fa era davvero impensabile e innescato una frenetica ricerca di informazioni da parte dei malati e delle loro famiglie- afferma Giuseppe Toro presidente nazionale di AIL (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma) senza il cui sostegno psicologico e assistenza riveste un ruolo fondamentale nell’attività di una terapia che senza strutture di accoglienza e di monitoraggio psichico (e non solo clinico) non potrebbe essere somministrata.
“Era preciso dovere di AIL mettere a disposizione di pazienti e familiari tutte le informazioni nel modo più esaustivo e corretto possibile – conclude Toro. Dunque, “riteniamo utile continuare a informare i pazienti ematologici e gli operatori sanitari su questa nuova frontiera della medicina che, siamo convinti, aprirà nuovi orizzonti terapeutici per alcuni tumori del sangue”.
Immagine: Alessandro Rambaldi, docente di Ematologia del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Università di Milano e ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo