Siamo la generazione-terrore
C’è una parola che è diventata una compagna di viaggio dal 13 novembre 2015 in poi: “credibile“. Associata quasi sempre ad un’entità astratta alla quale stiamo affidando la nostra serenità: “l’intelligence”. Ecco: quando l’intelligence emette un avviso di criticità credibile, succede di tutto. Chiudono le scuole (come a Los Angeles), si annullano partite (come in Germania, ad Hannover), si interrompono i festeggiamenti per l’ultimo dell’anno (come a Bruxelles) o si chiudono città intere (come è accaduto ancora a Bruxelles).
Quando l’intelligence, insomma, ha una soffiata, un sospetto, una paura “credibile” si annulla la normalità. Si interrompe il quotidiano. Il mondo si ferma.
E anche quando queste minacce “credibili” si rivelano infondate, la credibilità di chi le ha emesse non scema. Facciamo un esempio concreto: Los Angeles. Una mattina come le altre, quella del 16 dicembre 2015. Solo che in quella mattina arriva una mail. C’è un allarme bomba. “In una scuola della città”. Come dire: boh. Cioè: come si fa a sapere in quale scuola? In quale parte della città? Dove? Quindi, si chiudono tutte le scuole. Perché quella mail è ritenuta “credibile”. Anche perché, visto che si parlava di scuole, l’obiettivo è ancora più sensibile. Quindi: “chiusura di tutte le scuole”. Come dire: una confusione totale. Seguita da un dispiegamento di forze abnorme. Perché c’erano da controllare centinaia di edifici (900), ovvero migliaia di stanze, scale, stanzine, sottotetti, sottoscale, scrivanie, armadietti, bagni. Dopo questo minuzioso controllo, ecco la verità: quella minaccia “credibile”, in realtà, era una “bufala”. Un giorno, e le scuole sono state riaperte. Tutto come prima?
Ai parlamentari francesi riuniti a Versailles dopo il 13 novembre 2015 e, il presidente Hollande disse: “Metteremo tutta la forza dello Stato al servizio della sicurezza dei cittadini”. Chiedendo, in concreto, tre mesi di stato di emergenza, con poteri straordinari e misure eccezionali. I parlamentari, praticamente all’unisono, risposero alzandosi in piedi e intonando una solenne marsigliese. “Inutile chiedersi se abbiano avuto ragione o torto il presidente Hollande e il Parlamento francese, di fronte agli attacchi parigini, a parlare di “guerra”: il fatto che i terroristi, mentre si dichiarano soldati, si comportano invece da criminali, legittima senz’altro le riserve che l’uso del termine ‘guerra’ può provocare, ma la decisione di muoverla è stata presa dall’aggressore e all’aggredito non è restato, dunque, che mettere in campo i mezzi per difendersi” ha scritto Otello Lupacchini su “il Fatto Quotidiano”. Ebbene: siamo in guerra. Solo che i colpi di mortaio che ci vengono esplosi contro, stavolta, sono bombe di terrore: scuole chiuse, stadi svuotati, piazze vuote, militari che camminano in tenuta da guerra per le vie delle nostre città come si vedevano soltanto ai tempi dei golpe.
“Gli esperti hanno consigliato ai genitori francesi di parlare di guerra e terrorismo “per non lasciarli soli con le loro paure”. Hanno scritto e detto che “guardare, leggere o esaminare le notizie insieme è la migliore strategia di comportamento”. Se a scuola i bambini discutono con insegnanti e compagni del nuovo conflitto mondiale, poi a casa qualcuno cerca di capire se hanno paura?”. Sembra scritto ieri. Al massimo, l’altro ieri, tipo il 14 novembre, subito dopo gli attacchi del Bataclan. Invece, è ripreso in un testo scritto da Francesco Pira il 29 ottobre del 2001. Solo che, nel citarlo, ne abbiamo volutamente alterato una parola. Non c’era scritto “francesi” ma “americani”. Poco conta. Conta di più renderci conto che questo combattimento tra noi e il terrore è in atto da molto, moltissimo tempo.
C’è chi ha parlato di “generazione-bataclan”. Forse. O forse è una “generazione-terrorizata”. Alla quale sarà più facile far digerire l’abolizione di Schengen, i militari nelle piazze, il controllo diffuso: “Ex abrupto – conclude Otello Lupacchini sempre sul Fatto – la risposta alla ‘guerra diffusa’ innescata dal terrorismo non può che essere il rafforzamento delle misure di polizia. Non v’è, tuttavia, chi non veda come sia pericoloso per la democrazia contrapporre ‘sicurezza’ e ‘libertà'”.
N.b. le foto a corredo di questo articolo sono state scattate a Parigi il 26 e il 27 gennaio scorso.