Il Congresso degli indigeni brasiliani per la loro e la nostra salvezza

Dal 24 al 26 aprile 2019 gli indigeni brasiliani si sono riuniti a Brasilia per il consueto congresso annuale che quest’anno ha assunto un significato particolare, posto che il nuovo presidente, Jair Bolsonaro, mette a repentaglio la loro già esile sicurezza di vivere nelle loro terre.

Bolsonaro, infatti, ha dichiarato che alcuni dei territori indigeni, già demarcati come appartenenti ai nativi, “dovrebbero essere più produttivi”. Queste affermazioni sono, per gli osservatori, espressione di una strategia a favore dello sfruttamento delle riserve minerarie e dell’agro-business nella regione protetta dell’Amazzonia.

Le tribù

In Brasile sono circa 305 le tribù indiane,  per un totale di 900mila persone pari allo 0,4% della popolazione brasiliana.  Vivono nei 690 territori a loro riservati, che coprono circa il 13% della superficie terrestre del Brasile e si concentrano per il 90,8 in Amazzonia.

Gli indiani brasiliani che abitano nelle savane e nelle foreste atlantiche del sud, come i  Guarani e il Kaingang,  le tribù Pataxo Hã Hã  e il gruppo etnico  Tupinambá sono stati i primi a entrare in contatto con i coloni europei (i portoghesi) che sbarcarono in Brasile nel 1500; e sono riuscite a mantenere intatti, nei secoli, i loro linguaggi e i loro usi e costumi, resistendo alla traumatica invasione  che ha provocato stragi, schiavismo e assimilazione ai nuovi colonizzatori.

Oggi la tribù maggiore è costituita dai Guarani, con 51mila persone alle quali è rimasta pochissima terra. Negli ultimi 100 anni si è verificato l’accaparramento dei loro territori per destinarli agli allevamenti di bestiame, a piantagioni  di gomma (oro bianco),  di canna da zucchero e di soia: e molti dei Guarani  sono ridotti a vivere stipate nelle riserve, o accampati ai lati delle autostrade.

Lo stesso accade ai Tikuna,  40mila persone, che costituiscono  la più grande tribù amazzonica brasiliana.  Mentre la parte più estesa dei territori indigeni, nell’Amazzonia settentrionale,  è abitata dagli Yanomani: circa 30mila anime che, per la loro posizione geografica, sono stati risparmiati al saccheggio degli avidi predatori fino agli anni Settanta del Novecento. Poi c’è stata l’invasione per costruire strade e, negli anni Ottanta, il fenomeno dei ricercatori d’oro (i garimpeiros) rapaci e violenti: rilievo internazionale  ebbe, negli anni Novanta del Novecento,  l’eccidio di 20 persone della tribù, soprattutto donne e bambini.

Ancora più grave lo stato di fatto delle comunità minori, quelle formate da meno di mille persone – che sono la maggioranza delle tribù – come per esempio gli Awà che, per il sito Survival International   è composta da 450 membri, fino ad arrivare agli Akuntsu nella quale si contano 4 persone.

Le tribù incontattate

Ma in questo vastissimo  Brasile  (5° stato nel mondo per superficie totale: 8,5 milioni di chilometri quadrati) abitano tribù ancora isolate, le cosiddette incontattate: più di 100 gruppi che  vivono nelle zone remote nello Stato di Acri o in Vale do Javari, al confine con il Perù. Alcuni sono solo dei raggruppamenti di sopravissuti di tribù ormai scomparse per l’impatto con l’espansione intensiva della coltivazione della gomma e dell’agricoltura o nomadi, come i Kawahiva, che fuggono dagli allevatori di bestiame. Sono le persone più vulnerabili perché incontaminate e oltre a condividere con gli altri indios il problema della privazione della loro terra, non hanno sviluppato gli anticorpi che li difenda da malattie come l’influenza e il morbillo.

I progressi

Oggi la maggior parte degli indigeni brasiliani vive lungo i fiumi, dedicandosi all’artigianato e coltivando piccoli orti con quali si garantiscono una grande varietà di frutta,  verdura,  cereali ed erbe mediche  Cacciano e pescano, con archi e frecce, lance o cerbottane utilizzando veleni vegetali per stordire i pesci: altre tribù i pesci li prendono con il fucile.   Hanno accesso all’assistenza sanitaria e educativa.  Hanno perfino una giornata dedicata a loro, il 19 aprile, il Dia do Indio o Indigenous Day  (Giornata indigena), festa popolare indigena in onore del primo congresso indiano interamericano  – che si tenne nel 1940 a Patzcuaro in Messico – con la quale si vuole  sensibilizzare sui diritti culturali, ambientali, politici, sociali ed economici dei nativi.

I nuovi pericoli

Ma continuano ad avere il problema fondamentale dei saccheggiatori  delle  terre e delle risorse a tutti i costi  che trovano in Jair Bolsonaro l’alleato decisivo.  Il neo presidente brasiliano  sembra voler annullare i progressi politici realizzati negli anni recenti per il rispetto dei  diritti degli indios.

Preoccupa, che ha chiamato al dicastero dell’agricoltura Tereza Cristina, che in passato ha legiferato a favore dell’agro business ed è conosciuta come “the muse of poison” (la musa della pozione), per aver promosso l’uso di agro-tossine nelle fattorie che s’intersecano con le terre indigene.  Non usa mezzi termini Sonia Guajajara, coordinatrice dell’Associazione Brazil’s Indigenous People Articulation (APIB) quando dichiara a Telesur.net che ”Bolsonaro vuole consegnare terre alle attività agroindustriale, all’esplorazione mineraria e alla speculazione immobiliare, la gente ha paura per le proprie vite, ma non ci arrenderemo”.


Paura per  il decreto presidenziale che facilita l’acquisto delle armi. Una decisione che, secondo il quotidiano brasiliano Brazil de Fato, aumenta la violenza nelle zone rurali, dove le armi vengono usate contro i lavoratori deboli e le popolazioni indigene. “Una licenza di uccidere che aggrava ancora di più i conflitti tra i grandi proprietari terrieri e i popoli tradizionali”.

D’altronde, ricordano dalla  Sao Paulo Bank Workers’ Union,  è risaputo come Jair Bolsonaro “vede la questione indigena del Brasile”: già nel 1998, da deputato del Parlamento,  disse che “la cavalleria nordamericana,  nei secoli precedenti, era riuscita a eliminare i suoi indiani, con grande competenza”… .

Il problema comune

La deforestazione dell’Amazzonia oltre, a riguardare da vicino i diritti e la sopravvivenza stessa delle tribù degli indios brasiliani, riguarda la salute ambientale del Pianeta e, quindi, di tutti noi.

Il polmone verde della terra, com’è definita la foresta naturale amazzonica, secondo stime del WWF perde, ogni anno,  circa 1 milione e 600mila ettari a causa dello sfruttamento intensivo.  Si tratta del fenomeno della deforestazione che rischia di mutare l’eco sistema con conseguenze nefaste.
Il disboscamento, infatti, eliminando la vegetazione intensifica l’effetto serra,  acuendo il surriscaldamento ambientale; determina il dissesto idrogeologico con l’incremento del rischio di frane, alluvioni e smottamenti e impoverisce la biodiversità.

“Noi indiani siamo come le piante.  Come possiamo vivere senza la nostra terra?” ripeteva  l’attivista per i diritti degli indigeni, Marta Guarani (1942-2003). Una riflessione che dovremmo fare nostra.

 

Fotografie dall’alto verso il basso: 1) Congresso degli indios brasiliani; 2) Jair Bolsonaro, presidente del Brasile; 4) indio della tribù Guarani; 5) india della tribù Tikana; 7) ripresa aere del 2011 di una tribù incontattata; 10-11-12)  rivendicazioni per la propria terra e proteste degli indios durante il 19 aprile, l’ Indigenous Day; 11) manifestazione a sostegno dei diritti degli indios e per la salvaguardia della foresta Amazzonica 

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