Matteotti, Buozzi e l’impostore in più
Il 4 giugno 1944, a 20 anni esatti dall’omicidio Matteotti, veniva ucciso il sindacalista e deputato socialista Bruno Buozzi. “Il nostro Bruno Buozzi, l’uomo caro ai lavoratori italiani che soprattutto a lui devono le migliori conquiste rivendicatrici…” c’era scritto su un grande manifesto a firma PSIUP¹ apparso sui muri di Roma, finalmente liberata dalle forze nazifasciste e dalla guerra.
Nella capitale dall’alba entravano le pattuglie USA del generale Mark Wayne Clark, mentre le forze tedesche, con a capo il feldmaresciallo Albert Kesselring, ripiegavano verso il Nord, scegliendo di non combattere all’interno della città.
Ma come scrisse sull’Avanti il successivo 7 giugno Giuseppe Saragat “Bruno Buozzi il capo della classe operaia italiana, il Segretario della Confederazione del Lavoro è stato assassinato dalle iene hitleriane alle porte di Roma. Abbiamo riconosciuto il suo cadavere tra quelli di altri compagni che come lui erano stati condotti da via Tasso (dove era stato stabilito il carcere e la caserma della SS, ndr) verso il Nord dai banditi della croce uncinata. A quindici chilometri da Roma, i nostri compagni sono stati fatti scendere dall’autocarro che li trasportava e massacrati con colpi di rivoltella alla nuca. Bruno Buozzi è tra le vittime. Col cuore spezzato diamo questa terribile notizia ai lavoratori italiani che lo ebbero capo e fratello. È per noi questo il prezzo più terribile della Liberazione di Roma, Scriviamo con la mente che stenta a connettere di fronte all’atrocità del fatto, all’immensità della perdita” (fonte: Fondazione Nenni)
Se il 10 giugno 1924 l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti aveva avviato l’inizio della dittatura fascista (che culminerà il 3 gennaio 1925 con il discorso di Mussolini e la messa al bando dei politici avversari), dopo 20 anni esatti la morte di Buozzi ne segnava la fine.
L’occhio del duce
Nel loro destino, comune per molti versi, un torvo, bieco e subdolo personaggio, il ragionier Domenico De Ritis, da Paglietto in provincia di Chieti, alto funzionario di importanti istituti bancari, spia di Mussolini, membro dell’Ovra, ma dal cui elenco riuscì a far cancellare il suo nome quando venne pubblicato nel 1946 e passare per molto tempo come antifascista e benefattore della famiglia Matteotti e di Bruno Buozzi.
A smascherarlo il libro scritto dallo studioso del fascismo Alberto Vacca, L’occhio del Duce (ed. Edup).
Il prestito
Vacca, attraverso i documenti dell’Archivio dell’Ovra² costuditi presso l’Archivio Centrale di Roma, è riuscito a riscostruire e a fare chiarezza su De Ritis, consegnandolo alla memoria storica per ciò che ha realmente fatto e stato.
La poetessa Velia Titta, moglie di Matteotti, e i loro figli Giancarlo, Gianmatteo (ma noto come Matteo) e Isabella, dopo l’uccisone del marito e padre furono posti sotto strettissimo controllo della polizia e dell’Ovra, attraverso l’attività spionistica svolta da De Ritis dal 1930 al 1943.
Quest’ultimo subentrò dopo lo smascheramento di Luisa Gaines, professoressa di francese che impartiva lezioni private ai piccoli Matteotti.
De Ritis, c’informa Vacca, aveva fama di antifascista, con amicizie in comune con lo stesso Matteotti, quindi era considerato un insospettabile
Quando la vedova Titta si trovò in gravi difficoltà economiche – per i sabotaggi che la sua azienda agricola subiva da parte dei fascisti – fu il doppiogiochista di De Ritis che le agevolò la concessione di un prestito, negato dalla banche che temevano ritorsioni dal regime.
Ecco l’abilità dell’abietto amico, che riuscì a far passare Mussolini, il mandante dell’omicidio del marito, come un benefattore. Lo stesso dittatore, che aveva curato la faccenda in prima persona, fece diramare informazioni sulla ‘sua generosità’, con un articolo apparso sulla rivista Il merlo, edita in Francia, che esaltava il comportamento dei fascisti, screditando i socialisti che avevano rifiutato il supporto alla vedova.
Titta morì nel 1938, a causa dei postumi di un intervento chirurgico, senza scoprire la vera natura di De Ritis; credendolo amico sincero, leale e disinteressato tanto da affidargli, secondo Vacca, la cura e la tutela dei figli.
Sequestro di Stato
Velia Titta avrebbe voluto lasciare l’Italia per la Francia, ma non le venne mai concesso il passaporto (per Vacca si trattò di un “sequestro di stato”); avrebbe voluto estinguere il debito ma De Ritis, fra una scusa e l’altra, glielo impedì. Altrettando farà con i figli Giancarlo, Gianmatteo, una volta adulti.
E durante la Repubblica di Salò, Mussolini tornò sull’argomento; per dimostrare che niente aveva avuto niente a che fare con il delitto Matteotti, specificò al giornalista Silvestri come i figli del socialista ucciso non avrebbero mai accettato il prestito da lui stesso concesso.
Alla caduta del fascismo De Ritis, sospettato di essere una spia dell’Ovra, fu sottoposto a tre procedimenti giudiziari, uno penale due amministrativo.
Non subì condanne, anche grazie alle deposizioni favorevoli dei figli di Matteotti – i quali, ricordiamo, essendo molto piccoli quando il padre morì, crebbero con De Ritis che gli si mostrò attento e affettuoso – ancora ignari della sua doppia vita, ne avevano, un’alta concezione.
A subire i danni morali saranno proprio loro e soprattutto la madre Velia Titta, che passarono per molto tempo, come conniventi con il fascismo.
Come abbiamo già scritto, De Ritis riuscì a far cancellare il suo nome dall’elenco di spie dell’Ovra, una volta reso pubblico nel 1946.
Bruno Buozzi
Bruno Buozzi aveva lasciato l’esilio di Parigi subito dopo il 25 luglio 1943 (quando il Gran Consiglio depose Mussolini). Doveva ricostruire la nuova confederazione del lavoro con Giuseppe Di Vittorio e Achille Grandi.
Ma, la guerra, come è noto, non finì. Con il Governo Badoglio, l’8 settembre, a Roma iniziò l’occupazione tedesca. Buozzi, rientrato nella clandestinità, doveva trovare un rifugio sicuro.
Glielo procurò De Ritis, conosciuto, secondo Vacca attraverso i figli di Matteotti, che cresciuti erano entrati nelle file socialiste.
De Ritis, comunque, sembra fosse famoso fra i socialisti come sollecito a trovare alloggi sicuri e a finanziare la propaganda anti-fascista.
Buozzi fu nascosto in un appartamento ai Parioli, in via San Valentino (l’odierna Via Gramsci). Poi lo stesso De Ritis (ancora Vacca) gli disse di doversi trasferire a viale del Re, oggi viale Trastevere. E qui il 13 aprile 1944 venne arrestato e condotto alla prigione di Via Tasso.
Nella notte del 3 giugno i nazisti in fuga caricarono i prigioni su autocarri per trasferirli a Verona (Repubblica di Salò).
Il giorno dopo, giunti alla Storta (località sulla via Cassia, dove poi sorgerà il quartiere detto La Giustiniana), i 14 prigionieri furono fucilati dai tedeschi. Fra questi c’era Bruno Buozzi.
Il 9 giugno con il Patto di Roma, veniva ricostituita la CGIL. Per onorare la memoria di Buozzi e il suo provvidenziale operato nel corso delle trattative che avevano condotto all’accordo, nel testo venne scritta la data del 3 giugno, giorno che si ritiene sia stato l’ultimo in vita di Bruno Buozzi.
- Note: ¹La denominazione di Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria era stata in precedenza assunta dal Partito Socialista Italiano (PSI) nel 1943, a seguito della fusione con il Movimento di Unità Proletaria per la Repubblica Socialista di Lelio Basso e l’Unione Popolare Italiana. Il partito mantenne questa denominazione sino al 1947, quando riacquistò la dicitura PSI per evitare che se ne appropriasse il nuovo partito fondato da Giuseppe Saragat (PSDI) che sarà presidente della Repubblica dal 1964 – 1971. ²OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo), complesso dei servizî segreti di polizia politica durante il regime fascista dal 1926, in sostituzione della Čeka, polizia segreta di Mussolini per opera del capo della polizia Arturo Bocchini. Membri della Čeka uccisero Matteotti
Immagine: Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia, 13 giugno 1924, il sindacalista e deputato socialista Bruno Buozzi rende omaggio al luogo dove il 10 giugno venne rapito dagli uomini della polizia segreta di Mussolini, il collega, altrettanto convinto antifascista, Giacomo Matteotti: sarà ucciso lo stesso giorno. Buzzi sarà ucciso dai nazisti il 4 giugno 1944 (fotografia di pubblico dominio by wikipedia); 2) copertina del libro dello studioso del fascismo, Alberto Vacca