Il mio Godard e la Nouvelle Vague

Jean Luc Godard (3 dicembre 1930 – 13 settembre 2022) regista francese,  il suo film Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle) è considerato il manifesto della Nouvelle Vague.

Personalità geniale quanto egocentrica,  ben descritta nel film Il mio Godard (titolo originale  Le Redoutable, prodotto nel 2017 ) del regista Michel Hazanavicius  andato in onda pochi giorni fa su Rai Movie, che racconta l’importante storia sentimentale tra il regista e  l’attrice Anne Wiazemsky interpretati rispettivamente da Louis Garrel e Stacy Martin, mentre Micha Lescot dà il volto al produttore Jean-Pierre Bamberger. Ambientato negli anni Sessanta vi appaiono i registi italiani  Bernardo Bertolucci (Guido Caprino),  Marco Ferreri e l’attore Marco Margine (Emmanuele Aita e Matteo Martari).

Il film ripercorre anche la nascita del Gruppo Dziga Vertov collettivo voluto dal regista per sperimentare il rifiuto del ruolo dell’autore inteso come espressione di autorità e gerarchia e la sua partecipazione al movimento studentesco del ’68.

Oltre che regista, Godard è stato critico cinematografico e sceneggiatore. Tanti i riconoscimenti ottenuti nel corso della carriera. Nel 2011 gli fu assegnato il Premio Oscar alla carriera.

Nouvelle vague

Il termine Nouvelle vague (nuova ondata) viene usato ripetutamente dalla stampa francese per indicare il movimento cinematografico che andava formandosi tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta con i lungometraggi di giovani autori rivoluzionari.

In quegli anni la Francia viveva una profonda crisi politica per le tensioni generati dalla guerra fredda e, soprattutto, dalla guerra d’Algeria. L’esigenza del cinema di esprimere questi contrasti lo portarono ad  assumere una vena sempre più documentaristica.

Godard, tra i giovani registi innovatori, affermava “È ora di smetterla di fare film che parlano di politica. È ora di fare film in modo politico”. Una frase che sintetizza le nuove esigenze estetiche ed etiche: uscire dagli steccati produttivi consueti perché nella realtà c’era una nuova generazione che viveva in modo diverso e voleva rispecchiarsi nel cinema.

Testimoniare il tempo reale o meglio il cambiamento in divenire restando fedeli alla realtà (si nota qui l’influenza del neo-realismo italiano), rendendolo con set improvvisati, nelle strade, negli appartamenti, nei luoghi autentici dove scorre la vita, rappresentandone l’immediatezza, quindi, con la destrutturazione della lavorazione tradizionale introducendo nuove tecniche o nuovo uso delle stesse, dalla presa in diretta al montaggio.

Tutto iniziò presso la redazione della rivista Cahiers du cinema. Agli inizi degli anni Cinquanta la testata aveva riunito un gruppo di giovanissimi critici quali: Jean-Luc Godard, François Truffaut, Jacques Rivette, Eric Rohmer, Claude Chabrol, Jacques Doniol-Valcroze e Pierre Kast. Diventeranno poi registi e  accanto  ad altri giovani direttori di cortometraggi – ugualmente messaggeri di novità – come Alain Resnais, Louis Malle, Agnès Varda, Jacques Demy, provocarono  la nuova ondata che cambierà per sempre le regole del fare cinema anche se poi ogni rappresentante del movimento seguirà strade che li renderà molto diversi gli uni dagli altri.

Le  pietre miliari della filmografia della Nouvelle vague sono, secondo la critica ufficiale, sono  Ascensore per il patibolo (1957) di Malle, Le beau Serge (1957) di Chabrol, I quattrocento colpi (1959) di Truffaut, Hiroshima mon amour (1959) di Resnais, Fino all’ultimo respiro (1960) di Godard.

 

Immagine dal film ‘Il mio Godard’, l’attore Louis Garrel  nei panni del regista; 2) Cannes 1968, da sinistra i registi Claude Lelouch, Jean-Luc Godard, Francois Truffaut, Louis Malle e Roman Polanski

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