ll nostro cinema proverbiale

Le tradizioni, oramai, viaggiano sul multischermo. Così la funzione che per i nostri nonni veniva svolta dai proverbi adesso è un lavoro sociale e culturale eseguito da tutt’altra fonte (e fonti).

Lunedì 14 marzo 2016 è morto Riccardo Garrone, uno di quei meravigliosi attori della tradizione cinematografica italiana che non ti viene subito in mente sentendone il nome ma che, visto ritratto in una foto o in uno stralcio di film, risulta immediatamente un viso familiare.proverbi moderni 4

Ecco: Riccardo Garrone ha dato voce, mimica e corpo ad una frase. Siamo in “Vacanze di Natale”, filmettozzo anni ’80, tra l’altro non tra i più indimenticabili. Nel compimento del megapranzo di famiglia lui, decano della famiglia, interpellato per “dire qualcosa” pronuncia, appunto, quella frase. Celeberrima: “Beh – dice, con uno di quei sorrisetti da grande attore garbato di commediette qual’era – anche questo Natale… se lo semo levato dalle palle…”.

Eccolo, il ruolo sociale.  Quello dell’intercalare. Del dire una cosa per intenderne un’altra con un collegamento, una similitudine lessicale comprensibile da tutti. Il “proverbio”, appunto, quel modo di dire, quella situazione, quell’ammiccamento che diviene immortale e riconoscibile.

È vero. Come in realtà capitava con i proverbi (la cui conoscenza poteva non essere universale) talvolta due persone di diversa estrazione culturale, abitudine sociale e dieta mediale possono aver difficoltà ad intendersi per frasi ritagliate dalla cultura cinematografico-popolare.

Ma è anche altrettanto vero che, se dicessi: “Scusi, chi ha fatto palo?” in pochi non riderebbero amari delle disgrazie del nuovo sottoproletariato impiegatizio ricordandosi Fantozzi intento a sfondar finestre durante una partita della Nazionale seguitacon mezzi di fortuna per una tirannica convocazione del megaipersuperdirettore di turno (e che dire di quel suo gesto, lingua di 3/4 in fuori, guance gonfie e mugolio di sottofondo aspirato e compresso? Chi non pensa che abbia appena visto una bella ragazza alzi la mano…).

Così come è vero che in pochi in Italia per scongiurare il fatalismo dispotico di certa religione redentrice non ricorrerebbero al “Ricordati che devi morire!!! – Sì, mo’ me lo segno” (anche perché, in effetti, “Non ci resta che piangere è e rimarrà per sempre un autentico capolavoro…). E così come è altrettanto vero che nelle sezioni (si chiamano ancora così?) di partito non c’è mente acuminata di turno che non usi il nannimorettiano e sempiterno “E allora continuiamo così… Facciamoci del male…“.  E chi, almeno una volta, non s’è seduto a tavola e, di fronte ad un piatto mega-abbondante, non l’ha apostrofato con un bel “Tu m’hai provocato, mo’ te magno!” del quale dovremo essere riconoscenti per sempre con un mito come Alberto Sordi? E chi non si è arrabbiato tremendamente, rispondendo “E io pago!” a chi, magari, gli chiedeva “VotAntonio! VotAntonio!” (Totò, grazie di tutto, davvero, di cuore…).

Questo è un giochino che ci divertiremmo a far tutti, anche solo per riderci su. Come con una “supercazzola prematurata” (“Amici miei”, altro capolavoro), o con “A come attrocità, doppia T come Terremoto Traggedia, I come IradiDDio…” (Abatantuono, in effetti, meriterrebbe un articolo così a sé), o, ancora da “Non ci resta che piangere”, “Chi siete? Dove andate? Sì ma quanti siete? Un fiorino!”.

Questa ridda assurda e sempre completamente incompleta di citazioni non fa che confermare la tesi di partenza: queste frasi sono diventate dei cult, dei modi di dire, dei proverbi come dicevamo all’inizio. Dei veri e propri vezzi che, talvolta, vengono usati anche senza aver mai visto l’originale (io ho detto per anni “Antani” prima d’aver visto il già citato, meraviglioso “Amici miei”, appunto). Come se fossero un substrato valoriale, una sorta di abitudine, un tappeto elastico di frasi fatte sulle quali saltellare alla ricerca di farci comprendere.

La cosa bella e brutta al contempo di questo discorso è, appunto, quanto vasto possa essere il panorama degli esempi. Un insieme così eterogeneo è, in effetti, “brutto” perché difficilmente arriverà ad essere universale (come lo erano, e in parte sono ancora, i proverbi); ma è al tempo stesso “bello” perché dimostra, ancora una volta, la straordinaria ricchezza di occasioni lessicali che abbiamo. Grazie, è vero, a molto cinema italiano anni ’60 – ’80. Ma, chi lo sa?, potrebbe darsi che il più celebre e usato proverbio moderno tra trent’anni sia nel film che sta per uscire, o nella pubblicità che sta per essere messa in onda, o nel quiz che sta per essere scritto. Il divertimento sarà trovarlo così geniale da cominciare a usarlo, tutti. Proprio come un buon proverbio richiede…

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.