Buongiorno con il capo e la pressione sale

rapporto con il capo

Conosci il tuo avversario e conosci te stesso, così potrai combattere 100 battaglie senza conoscere la sconfitta (Sun Tzu. L’arte della guerra)

Che i rapporti con i nostri superiori possano creare dei disturbi emotivi, ne siamo a conoscenza, ma fino a che punto? Una ricerca della Saint Mary’s University in Halifax, (Canada) ci dimostra come l’interazione sociale con il proprio capo sia responsabile di un eventuale innalzamento della pressione sanguigna.

Anche un “buongiorno” percepito in modo negativo, può influire sul nostro stato emotivo e, di conseguenza, scatenare un’alterazione nella nostra pressione. Una reazione fisiologica ad un disagio emozionale che non riusciamo a controllare. Rilevanti controlli cardiovascolari, hanno mostrato significative correlazioni tra la reattività cardiovascolare e il recupero da una condizione di stress.

La ricerca rientra nell’ambito dell’Occupational health psicology, ramo della psicologia che si occupa del potenziamento della sicurezza, la salute e il benessere dei lavoratori. Nella ricerca sono stati coinvolti 55 operatori sociali con età media di 43 anni che operano in case di cura da tanti anni. Pertanto si tratta di impiegati con una notevole esperienza sia nel proprio lavoro che nelle relazioni umane e sociali con il proprio superiore.

Ogni volontario è stato provvisto di un dispositivo in grado di monitorare l’andamento della pressione sanguigna dall’inizio della giornata lavorativa fino all’ora di andare a letto. Lo studio ha evidenziato come le interazioni negative (o almeno così percepite dai lavoratori) con il proprio capo, siano predittive di una pressione sistolica del sangue più alta al lavoro, così come a casa, quando “si porta” a casa il lavoro, potenziando la propria frustrazione, attraverso il meccanismo della “rimunginazione”.

Un controllo lungo un giorno per esaminare le minime re-azioni che si svolgono quotidianamente, di cui spesso non ne siamo consapevoli. Gli autori di What Happens at Work Stays at Work? Workplace Supervisory Social Interactions and Blood Pressure Outcomes, apparso su Journal of Occupational health sono la Dott.ssa Jennifer Wong ed E. Kevin Kelloway, responsabile del settore ricerca all’interno del Dipartimento Occupational Health Psychology.

Prof. Kevin-Kelloway

Prof. Kevin-Kelloway

Ne abbiamo parlato con il prof. Kevin Kelloway per capire quali motivazioni alberghino alla base dello studio e quali strategie si potrebbero adottare per un futuro socio-lavorativo più sostenibile.

Su quali basi è iniziata la vostra ricerca? Avevate già fatto ricerche simili in questo campo (relazione datore di lavoro/capo- impiegati/lavoratori)

Noi eravamo interessati a valutare gli effetti della leadership sulla salute degli impiegati. Precedentemente, ho realizzato una ricerca che identificava le relazioni tra gli stili di leadership rispetto al benessere psicologico degli impiegati. In questo studio, invece volevamo esaminare specifiche interazioni con i superiore ed ampliarne la portata misurando anche l’effetto immediato sulla salute fisica.

Può descrivere in breve come è stata condotta la ricerca sui 55 operatori sociali?

Lo studio è ciò che i ricercatori chiamano “diario”. In pratica abbiamo chiesto a 55 impiegati che lavorano da lungo tempo come operatori sociali di indossare un dispositivo da ambulatorio per la misurazione della pressione sanguigna per un intero giorno, dal momento del risveglio all’ora di andare a letto. I dispositivi della pressione sanguigna sono stati programmati per una lettura della pressione ogni ora; ogni volta che la pressione sanguigna veniva presa, abbiamo chiesto agli impiegati di riempire un breve questionario relativo a ciò che stavano facendo in quel momento,

Avete scelto gli operatori sociali per un determinato motivo? I vostri risultati possono essere estesi ad altri ambiti lavorativi?

In realtà la focalizzazione sugli operatori sociali, è stata una questione di convenienza, era un campionamento per noi molto accessibile, studi simili sono stati eseguiti nel settore dell’assistenza sanitaria. Comunque crediamo che gli effetti si possano estendere ad un’ampia varietà di altri settori lavorativi. Tutti noi abbiamo dei capi e siamo influenzati dal loro modo di trattarci.

Secondo lei, perché è così difficile il rapporto con il proprio capo? Quali risposte emozionali sono coinvolte in questo meccanismo/relazione?

Noi ci concentriamo sulla leadership perché crediamo che il rapporto tra leader e seguaci è un fattore critico nelle organizzazioni. I nostri supervisori e capi determinano le nostre ricompense; ci affidano il lavoro e, in generale, esercitano l’autorità su di noi. Il modo in cui queste persone ci trattano è particolarmente importante e, probabilmente, siamo sensibili al modo in cui il capo si relaziona con noi.

Nello studio abbiamo riscontrato che quando le persone hanno avuto interazioni negative con i loro superiori, la loro pressione sanguigna aumenta immediatamente e rimane elevata, nelle ore serali, anche dopo il lavoro. Da considerare inoltre, il gioco che svolge la “rimunginazione” vale a dire la tendenza a ripensare all’episodio negativo in continuazione nella propria testa. In un certo senso, le persone si auto traumatizzano.

Che strategie dovrebbe adottare il lavoratore per evitare questo tipo di stress?

Noi non abbiamo considerato le strategie dei dipendenti nel nostro studio, ma certamente una delle ragioni per cui le interazioni con i leader sono così potenti è che molte volte non possiamo evitarle. Siamo al lavoro e dobbiamo interagire con il nostro capo per cui se un supervisore è ostile o abbiamo molte interazioni negative con lui, non c’è davvero altro scampo che lasciare il lavoro. Ci potrebbero essere altri motivi per cui queste interazioni sono così importanti per il nostro benessere. Per esempio, perché abbiamo così poco controllo su di loro.

Questo studio dunque apre le porte per migliorare le pratiche nelle organizzazioni e per altri campioni di ricerca. Come ogni fattore che altera il nostro stato emotivo e neurovegetativo, la relazione con il proprio capo comporta una reazione fisiologica come conseguenza di uno stato emotivo alterato. Il rapporto con il proprio capo è altamente condizionante per la sua potenza intrinseca, egli è fonte del nostro benessere con le remunerazioni e di malessere con mortificazioni e comportamenti negativi. Sapere gestire e controllare il nostro rapporto con lui/lei ci aiuta a vivere meglio.

Una relazione dunque da gestire con intelligenza, soprattutto, emotiva al fine di non farsi coinvolgere in una spirale di emotività incontrollata che incide negativamente sulle prestazioni lavorative ma soprattutto sulla sfera del nostro benessere sia individuale che relazionale.  Una rivisitazione del rapporto capo-dipendente è fondamentale per ambedue gli elementi della relazione poiché un sano modo di relazionarsi si riflette automaticamente sull’organizzazione aziendale e umana nel suo complesso.

Come afferma la prof.ssa Giuditta Alessandrini nel libro La Formazione continua nelle organizzazioni: “Nella società moderna, che sacralizza e venera il self individuale, la ricostruzione della solidarietà può acquisire valore salvifico.  La ricomposizione dell’antinomia tra individuo ed organizzazione transita, infatti, attraverso l’idea di una nuova solidarietà”

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