Riace. Il pronunciamento del Consiglio di Stato

“Che il modello Riace fosse assolutamente encomiabile negli intenti e anche negli esiti del processo d’integrazione è circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti”. Così sono espressi i giudici del Consiglio di Stato nei confronti della chiusura dei progetti Sprar di Riace nel giugno 2020.

Nell’ottobre 2018 il Viminale con l’allora Ministro Matteo Salvini (Lega) con un’ordinanza decretò la chiusura delle strutture e l’interruzione dei progetti di accoglienza e integrazione per oltre 60 immigrati applicati per l’appunto a Riace, piccolo comune calabro. Ora il Consiglio di Stato – come già la sentenza del Tar nell’ottobre 2019 – ha stabilito che il ministero degli Interni agì senza dare all’amministrazione di Riace il tempo dovuto di sanare le eventuali irregolarità che peraltro secondo i giudici non avrebbero meritato neanche una diffida. “L’Amministrazione statale prima di adottare qualunque misura demolitoria deve attivarsi per far correggere i comportamenti non conformi operando in modo da riportare a regime le eventuali anomalie” ha specificato il Consiglio di Stato, sottolineando che “il potere sanzionatorio/demolitorio è esercitabile solo se l’ente locale che si assume sia incorso in criticità sia stato avvisato, essendogli state chiaramente esposte le carenze e le irregolarità da sanare, gli sia stato assegnato un congruo termine per sanarle, e ciò nonostante, non vi abbia provveduto”.

Inoltre il decreto del Viminale che ha cancellato i progetti “non solo non soddisfa i requisiti di forma stigmatizzati dal Tar ma neppure quelli sostanziali, non potendo ritenersi che abbia raggiunto il suo scopo”. Ma c’è di più perché, notano i giudici, che “le difficoltà del sistema Riace erano note, ma il progetto relativo non solo non era stato revocato ma aveva ottenuto una proroga, perché nonostante il disordine amministrativo presentava “riconosciuti e innegabili meriti”; meriti che svolgevano “un ruolo decisivo nel ritenere superate (e non penalizzanti) le criticità”. Confermano i giudici del CdS che il “modello Riace fosse assolutamente encomiabile negli intenti ed anche negli esiti del processo d’integrazione è circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti”.

Domenico Lucano fra gli ideatori, realizzatore e strenuo difensore del modello d’integrazione realizzato sotto la sua amministrazione a Riace, per la bufera giudiziaria scaturita dall’inchiesta del Tribunale di Locri che affermava di aver individuato “gli indizi per comportamento fraudolento” ossia di uso illecito dei fondi dello Sprar, fu sospeso dalla sua attività di sindaco del piccolo comune calabro e obbligato a non risiederne. Nell’aprile 2019 il pronunciamento della Corte di Cassazione affermò che tale impianto accusatorio non reggeva, riabilitando la figura e le intenzioni dell’ex-sindaco. A distanza di un anno un nuovo riconoscimento del suo operato non risolve l’amarezza che prova Domenico Lucano, perché nonostante le sentenze favorevoli tutto è andato disperso: gli immigrati che vivevano nella comunità di Riace contribuendo a ridare vita a un comune a rischio di spopolamento e protagonisti di un modello d’integrazione famoso nel mondo sono stati costretti a lasciare Riace.

 

Immagine di Gianfranco Ferrero, autore del progetto ‘Il signor sindaco e la città futura’ realizzato nel 2016 e dedicato a Domenico Lucano e al modello d’integrazione realizzato a Riace

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