Il CSM fa cadere il segreto sugli atti di Giovanni Falcone
Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), in occasione del 25° anniversario della morte dei giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, vittime della strage di Capaci, ha deciso di pubblicare on line e nella versione cartacea, gli atti finora segreti, referenti ai rapporti intercorsi tra i 2 giudici e la stessa istituzione.
Il 22 maggio 2017 alle ore 11, nel corso della seduta plenaria presieduta dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel rendere omaggio alla memoria del famoso giudice palermitano e della moglie anch’essa magistrato, sono stati resi pubblici gli atti del CSM concernenti Giovanni Falcone, sia i documenti riguardanti l’attività professionale di Francesca Morvillo.
I documenti, finora custoditi nel caveau di sicurezza della sede del Consiglio, Palazzo dei Marescialli a Roma, come anticipato,, sono pubblicati on line sul portale del CSM e, nella versione cartacea, raccolti nel volume unico intitolato Giovanni Falcone – Consiglio Superiore della Magistratura, curato dal consigliere Luca Palamara ed edito dai Poligrafici di Stato.
La decisione di desecretare i documenti, proposta dalla VI Commissione, accettata con decreto e pubblicata dal CSM il 17 maggio 2017, è stata approvata formalmente dal plenum, già citato, del 22 maggio.
Il consigliere Antonio Ardituro ha ribadito “l’importanza dell’iniziativa” che mette a disposizione dell’opinione pubblica i documenti “che ricostruiscono non solo la storia e la vita professionale” di Giovanni Falcone “ma anche il suo rapporto così complesso col CSM: audizioni, verbali di commissioni e del comitato antimafia”. Atti che hanno suscitato sempre molto interesse e che ora tutti potranno consultare nella loro completezza .
Gli atti sono costituiti da numerosi contributi dai quali emergono, come fa notare il consigliere Piergiorgio Morosini “le idee, le intuizioni, le proposte e le strategie a livello giudiziario” di Giovanni Falcone.
Il Presidente della VI Commissione, Ercole Aprile, ha informato che l’iniziativa s’inserisce “nell’ambito di una risoluzione programmatica” della stessa Commissione e “delle sue nuove competenze in materia di corruzione e contrasto alle organizzazioni mafiose e terroristiche”.
La seduta plenaria del 22 maggio, oltre a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo è dedicata alla memoria di Paolo Borsellino, anch’egli vittima di un attentato mafioso 25 anni fa.
Il 23 maggio 1992 sull’autostrada A29, che porta dall’aeroporto di Palermo al capoluogo siciliano, saltarono in aria per un’esplosione telecomandata, le 3 Croma Fiat, che conducevano i coniugi Falcone e lo loro scorta. L’esplosione provocò la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di polizia: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. L’attentato è noto come la strage di Capaci, dal luogo, dove avvenne l’esplosione.
Il 19 luglio dello stesso anno e nello stesso modo, a Palermo persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque componenti della sua scorta, gli agenti di polizia: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’attentato passa alla storia come la strage di Via D’Amelio, dal nome della strada palermitana dove avvenne l’esplosione.
Falcone, Borsellino e le stragi del 92 e 93 in parte ancora avvolte nel mistero
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano pressoché coetanei: il primo nato nel 1939, il secondo nel 1940. Si conoscevano fin da ragazzi: entrambi cresciuti a Piazza Magione nel quartiere Kalsa di Palermo. Diventati magistrati, lavorarono fianco a fianco nel pool antimafia: squadra di magistrati che riunendo le singole competenze riusciva a indagare il fenomeno mafioso in ogni suo aspetto.
Nel agosto 1985 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con le rispettive famiglie, a causa delle minacce della mafia, furono costretti a trascorrere 25 giorni nel penitenziario sardo dell’Asinara, in grado di assicurargli la massima sicurezza. All’Asinara i 2 magistrati istruirono quello che fu poi chiamato, per le vaste proporzioni, il maxi processo contro i capi di Cosa Nostra.
Il maxi processo iniziò il 10 febbraio del 1986 e terminò, con il terzo grado di giudizio, il 30 gennaio 1992. Gli imputati erano 475, scesi poi in appello a 460. Si concluse con 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2.665 anni di reclusione, quasi tutte confermate dalla Cassazione.
Il maxi processo fu il primo duro colpo a Cosa Nostra, che reagì ferocemente organizzando una serie di attentati tra il 1992 e il 1993. Attentati che videro la morte dell’euro-deputato Salvo Lima (marzo 1992), legato alla mafia e reo, per l’organizzazione criminale, di non essere riuscito a modificare la sentenza in Cassazione; dei giudici istruttori del maxi processo Falcone (maggio 1992), Borsellino (luglio 1992) e dell’imprenditore Ignazio Salvo (settembre 92), anch’egli condannato dalla mafia siciliana per non aver influito sulla sentenza della Cassazione.
Nel 1993 oltre all’attentato fallito contro il giornalista Maurizio Costanzo del 14 maggio, subentrò una strategia terroristica mafiosa contro i luoghi significativi dell’arte e cultura italiana: il 27 maggio un’autobomba imbottita di tritolo esplose vicino alla Galleria degli Uffizi a Firenze: 5 morti e 48 feriti.
Il 27 luglio esplose una bomba a Milano, vicino al Padiglione di Arte Contemporanea (Pac): 3 morti e 12 feriti. Stessa sera ma a Roma, esplose un ordigno in piazza San Giovanni in Laterano che danneggiò le mura della basilica e del Palazzo Lateranense. Dopo circa 10 minuti, sempre a Roma, avvenne l’esplosione di un autobomba parcheggiata davanti alla chiesa romanica di San Giorgio al Velabro, uno dei più antichi luoghi di culto cattolico, risalente al IX secolo, che risultò seriamente danneggiato. Complessivamente i 2 attentati di Roma provocarono 22 feriti.
Poi la mafia tacque di colpo. Da allora ancora non si è giunti alla completa conoscenza e verità dei fatti delle stragi del 1992 e 93 che continuano ad essere, in gran parte, oscurati dal mistero.