Caregiver verso un riconoscimento senza sostegno
Caregiver, termine anglosassone con il quale si indica la persona che accudisce un familiare non autosufficiente. In Italia sono circa un milione. In questi giorni alla Commissione del Senato è in esame il disegno di legge 2128 che dovrebbe garantire i diritti e le tutele ai caregiver. Tuttavia il testo unico al Senato sta provocando delusioni delle parti in causa e molte polemiche da parte delle associazioni competenti. Vediamo perché.
Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare, così si intitola il testo unificato che inizia col definirne la figura per il suo riconoscimento giuridico e sociale. Il caregiver scrive il legislatore è colui che “volontariamente e gratuitamente si prende cura di una persona cara consenziente in condizioni di non autosufficienza, a causa dell’età, di una malattia, di una disabilità. Le prestazioni sono rese a titolo gratuito, in funzione dei legami affettivi.”.
Le difficoltà psico-fisiche che diminuiscono l’aspettativa di vita
L’Italia, premettono i legislatori è uno dei pochi Paesi in Europa, dove la figura del caregiver familiare “non è stata riconosciuta professionalmente e tutelata da punto di vista previdenziale, sanitario e assicurativo”. Quando, invece, lo Stato, rileva il diesgno di legge “deve valorizzare e sostenere chi compie “una scelta di amore” quale è il “prendersi cura di un proprio familiare”. Persone che vivono “in una condizione di abnegazione totale che compromette i loro diritti umani fondamentali: quelli alla salute, al riposo, alla vita sociale e alla realizzazione personale”.
Perché, continua il testo mostrando piena consapevolezza delle condizioni e difficoltà psico-fisiche del cargiver “ è su di lui che ricade l’organizzazione delle cure e dell’assistenza; può trovarsi, dunque, in una condizione di sofferenza e di disagio riconducibili ad affaticamento fisico e psicologico, solitudine, consapevolezza di non potersi ammalare, per le conseguenze che la sua assenza potrebbe provocare, il sommarsi dei compiti assistenziali a quelli familiari e lavorativi, possibili problemi economici, frustrazione. L’impegno costante del caregiver familiare, (a suo volta spesso in età matura ndr) prolungato nel tempo” continuiamo a leggere il disegno di legge “ può mettere a dura prova l’equilibrio psicofisico del prestatore di cure ma anche dell’intero nucleo familiare in cui è inserito”.
Chi ha esperienze di assistenza a un familiare non autosufficiente, riconosce nelle parole dei legislatori la descrizione esatta della condizione del caregiver: non usando una parola di troppo, mostrano di averne piena consapevolezza. C’è di più: i relatori arrivano a citare il Premio Nobel 2009 per la medicina, Elizabeth Blackburn, che “ha dimostrato che i caregiver familiari hanno un’aspettativa di vita fino a 17 anni inferiore alla media della popolazione”.
Lavoro compromesso, reddito a rischio e spese sanitarie a proprio carico
Ricerche, riportate anche dal disegno di legge, stimano che le persone che si prendono cura di un familiare non autosufficiente che svolgono un lavoro (in Italia sono il 40%) sono costretti nel 10% a chiedere il part-time e, quando possibile, ricorrere al lavoro agile, fino a essere costretti nel 66% dei casi ad abbandonare il lavoro.
Il reddito ne risente severamente, ma sono aiutati dal contesto socio-assistenziale? No, la risposta è categoricamente no. Avere a casa un malato cronico non autosufficiente, significa avere bisogno anche dell’intervento di personale sanitario: per prelievi di sangue; per un’urgente inserimento delle flebo idratanti e nutrient, solo per citare alcuni esempi.
Da un’indagine condotta dal Censis, è risultato che nel 2016 un italiano su cinque ha affrontato prestazioni di questo tipo a sue spese. Conferma al Corriere della Sera (cartaceo del 29 ottobre 2017) Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale Collegio Ipasvi che “tutto ciò che è ‘continuità assistenziale’ fuori dagli ospedali e sul territorio è ancora quasi sempre organizzato dai pazienti con le proprie forze”. Perché, aggiunge, “mancano almeno 30 mila infermieri per garantire prestazioni offerte dal Servizio sanitario” pubblico.
Il caregiver quindi si muove in un contesto socio-assistenziale che gli stessi relatori del progetto di legge definiscono “drammatico”, perché ribadiscono “caratterizzato da continui tagli a livello nazionale e locale dei fondi destinati al sostegno delle famiglie in cui vive una persona non autosufficiente; costi sempre maggiori delle Residenze sanitarie assistenziali, che offrono servizi spesso non adeguati; parcellizzazione delle risposte assistenziali ormai rivolte solo ad alcune specifiche categorie”.
Senza il lavoro svolto dai familiari, concludono i relatori, il costo di assistenza continua per lo Stato sarebbe insostenibile.
Una legge a costo zero non può essere decisiva
Ed è a questo punto, quasi a sorpresa, che il testo delude. Dopo aver fotografato così bene la situazione del caregiver e preso atto delle conseguenze dolorose in cui versa, si scopre che il disegno di legge è a costo zero. “Non comporta oneri aggiuntivi di finanza pubblica” scrivono i relatori; la quantificazione delle risorse per gli “eventuali diritti economici e sociali” dei caregiver è di “competenza dello Stato”, ossia è rinviata alla legge di bilancio annuale. I caregiver, quindi, sono lasciati in balia del Pil, la cui crescita, come abbiamo visto negli ultimi anni, anche se minima si è sempre indirizzata a favore della tenuta del bilancio, più che del welfare.
Il merito della proposta di legge, se diventerà legge, sarà quello di riconoscere giuridicamente la figura del caregiver. Un passo in avanti. Per i più severi accusatori di Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare altro non è che un guscio vuoto.