Ageismo. Il valore di ogni età

Le rughe profonde che le solcano il volto, incorniciato da lunghi capelli grigi, forse la fanno sembrare più grande dei suoi 67 anni, ma non intaccano l’intensità e la profondità dello sguardo e sua bellezza, rimasta inalterata.

Perfetta, dunque, per diventare testimonial – accanto alla ventisettenne Rianne Van Rompaey –  della nuova capsule  Thirteen Pieces del marchio Zara, una linea per tutte le donne senza differenza di età e di taglie.

Angela Molina, l’attrice spagnola di cui stiamo parlando, è una paladina della bellezza naturale. Ha lasciato che i suoi capelli incanutissero ben prima che il grigio diventasse una tendenza, perché convinta che “tutto ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene è dentro di noi” e prima o poi si trova e diventa anche bellezza “esteriore”.  I risultati le danno ragione. Basta vedere le immagini in bianco e nero della campagna fotografata da Mario Sorrenti.

Da tempo la moda e la cosmetica ricorre a un tipo di comunicazione che mira ad abbattere i confini dell’età, in nome dell’inclusività.

Marketing? Può darsi. Ma risponde a una necessità sociale affrontata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che viene indicata come ageismo.

Da ageism derivato di age, età in inglese, l’ageismo definisce la discriminazione, il pregiudizio o la marginalizzazione di una persona in relazione all’età, in particolare  nei confronti degli anziani. L’Accademia della Crusca, spiegandone il significato sopra citato, annota che la prima attestazione del termine risale al 1995, ma la sua affermazione è avvenuta nel 2020.

L’ageismo: interiorizzato già a 4 anni

Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Perché l’ageismo non una questione di tendenza ma sociale, e colpisce tutti.

“Dall’età di 4 anni i bambini iniziano a essere consapevoli degli stereotipi sull’età della cultura a cui appartengono – spiegano gli esperti di Scienze Sociali dell’OMS -.  Interiorizzano e utilizzano tali stereotipi per dirigere i propri sentimenti e comportamenti verso persone di età diverse. Nello stesso modo, percepiscono la propria persona. Da cui l’ageismo autodiretto, che può verificarsi a qualsiasi età che si mescola e aggrava altre forme di svantaggio sociale come quelle legate al genere, alla razza e alla disabilità.

Mina la solidarietà tra generazioni

Ne sono colpiti anche i giovanissimi, che li vediamo – soprattutto qui in Italia- esclusi dal processo decisionale sul posto di lavoro. Dove però le porte si aprano difficilmente  anche alle persone dai 45 anni, nonostante l’esperienza, la maturità e l’esperienza.

Adulti e giovani si incontrano in un terreno comune per  limiti opposti, ma entrambe le categorie finiscono impigliate in atteggiamenti paternalistici, così come in comportamenti autolimitanti che derivano dagli stereotipi interiorizzati di cosa può essere o fare una persona a una determinata età. Così la società limita e/o sottovaluta la capacità di beneficiare del contribuito di entrambe le categorie.

I più giovani segnalano più discriminazioni basate sull’età rispetto ad altri gruppi.  L’ageismo, dunque, mina la solidarietà tra le generazioni.

Le strategie

Si può eliminare o almeno ridurre la discriminazione legata all’età, agendo lungo tre direttive: educazione, politica e legislazione e rafforzando interventi intergenerazionali.

Le attività educative devono favorire l’empatia e dissipare le idee sbagliate sui diversi gruppi di età, fornendo informazioni accurate ed esempi contro gli stereotipi.

Le misure politiche e legislative devono contrastare la discriminazione basata sull’età e la disuguaglianza e proteggere i diritti umani di tutti e ovunque.

Infine, gli interventi intergenerazionali mirati agli incontri tra le diverse generazioni affinché attraverso la conoscenza reciproca superino i pregiudizi e gli stereotipi tra i diversi gruppi di età.

 

Immagine: Angela Molina, attrice spagnola scelta come testimonial da un noto marchio di moda, con la bellezza naturale dei suoi 67 anni è il simbolo ideale contro l’ageismo

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