Io sono Leonor Fini
Quando all’eclettica Leonor Fini veniva chiesto qual era la sua personalità artistica rispondeva: “Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo, Io sono”.
In questo modo Leonor Fini confermava la sua totalità libertà da ogni steccato stilistico ed esistenziale.
Anticonformista congenita? Può darsi. Ma, certamente, considerando la sua biografia e l’innato spirito artistico, difficilmente avrebbe potuto essere diversa.
Leonor Fini – non solo pittrice, ma anche scrittrice, fotografa, designer di moda e costumi, illustratrice di libri – nata a Buenos Aires il 30 agosto 1907 da padre argentino – ma di origini italiane – possedente terriero e da madre triestina di origine tedesca appartenente all’alta borghesia ebraica, per la burrascosa separazione dei suoi genitori conobbe ben presto le controversie dei rapporti umani,
La mamma Malvina Braun vinta dall’oppressione del marito, tornò con Leonor, di appena due anni, a vivere a Trieste; il padre pur di riaverla e portarla con sé in Argentina tentò di rapirla, mentre la mamma la occultava ricorrendo anche al travestimento, pratica che Leonor conservò da adulta.
Trieste, nonostante il Ventennio, rimase quell’affascinante crocevia di culture e di intellettuali del calibro di Italo Svevo o Umberto Saba.
Leonor, che iniziò a disegnare fin da piccola, crebbe in quell’ambiente.
Nel 1925 iniziò a seguire le lezioni di pittura del ritrattista e pittore di figura, Edmondo Passauro, che segnò la sua cifra stilistica almeno fino al periodo parigino.
Nel 1928 partecipò alla Seconda Esposizione del Sindacato Fascista di belle arti di Trieste, con i tre ritratti: Ritratto di Italo Svevo, Ritratto maschile e Angelo dimissionario.
Ancora a Trieste conobbe Felicita Frai (1909 – 2010), pittrice praghese naturalizzata italiana, allieva a Ferrara di Achille Funi (1890 – 1972) – fra i capiscuola del movimento Novecento del ‘22 -, e con il quale collaborò alle decorazioni de Il mito di Ferrara nella Sala dell’Arengo del Palazzo Municipale della città e della sede della Banca Nazionale del Lavoro di Roma.
Leonor Fini, attraverso Felicita, conobbe Funi. Si innamorarono e si traferirono a Milano. Accanto al maestro ferrarese, che l’avvicinò alla pittura del Quattrocento, la sua produzione pittorica perse i tratti ereditati dalla scuola triestina. Nel capoluogo lombardo ritrovò Arturo Nathan, amico da Trieste (che morirà nel campo di concentramento nazista Biberach an der Riss, nel novembre 1944), espose alla Permanente e realizzò, con Funi, il mosaico La cavalcata delle Amazzoni nel pavimento della Triennale.
Conosciuti artisti della caratura di Carrà, Sironi e De Chirico, su consiglio di quest’ultimo, nel 1931 Leonor Fini lasciò Milano alla volta di Parigi, che divenne la sua città adottiva, pur con frequenti ritorni italiani.
Qui nel 32 partecipò alla mostra 22 artistes italiens modernes organizzata alla Galérie Bernheim, ma fu presente alla Biennale di Venezia del 1932 nella Mostra degli italiani a Parigi.
Tramite il fotografo Cartier Bresson, conobbe André Pieyre de Mandiargues e, presto, Max Ernst che la introdusse nella letteratura e pittura surrealista. Per molti Leonor Fini fu molto vicina al movimento surrealista dalla seconda metà degli anni ’30 fino a tutti i ’40. Ma al movimento non aderirà completamente, disapprovando la concezione che aveva verso la donna.
Veniva soprannominata “la furia italiana a Parigi”: ancora una definizione confermata dal temperamento dell’artista, la quale nel frattempo a New York, nel 1936, frequentò l’ambiente del Moma, conobbe i grandi stilisti Christian Dior ed Elsa Schiaparelli per la quale progetto il design del profumo Shocking: una boccetta a forma del busto femminile secondo le forme di Mae West.
Alla vigilia della Seconda guerra mondiale in Francia, partì con un nutrito gruppo di artisti – fra i quali la pittrice e scrittrice britannica, Leonora Carrington -, e rimase bloccata nei pressi di Bordeaux fino all’estate del 1940.
Tornata a Parigi e trovata occupata dai nazisti, Leonor, la cui madre era ebrea, fuggì a Montecarlo. Qui iniziò una relazione con il console italiano Stanislao Lepri, che per l’artista lasciò la professione e si dedicò all’arte, e con l’intellettuale polacco Konstanty Jekensky, i tre convissero fino agli anni ’80. Nella sua sfera sentimentale subentrò anche l’architetto Fabrizio Clerici, conosciuto durante gli anni romani nel decennio del ’40 e per il quale provò un “intenso sentimento fraterno”, per tutta la vita.
Alla fine della guerra, nel 1946 Leonor tornò a stabilirsi definitivamente a Parigi (senza mai smettere i suoi frequenti viaggi in Italia), dedicandosi all’illustrazione di libri, alle realizzazioni di costumi e scenografie teatrali e cinematografiche: nel 1954 vinceva il Leone d’oro per il film Giulietta e Romeo di Renato Castellani.
Leonor morirà a Parigi nel 1996. Dal 1991 si era ritirata a vita privata nella Loira, e lì volle essere sepolta, accanto a Stanislao e Konstanty.
Dunque, aveva ragione la “furia italiana” a limitarsi a dire di sé io sono?!
Noi azzardiamo la conferma, l’artista, soprattutto “fu”. Fu, senza dubbio, una ritrattista per tutta la vita: aveva iniziato da piccola con le amiche e continuò per sempre, come testimoniano le molte opere che mostrano personaggi celebri.
Era affascinata dall’ibrido; un frequente ritorno nella sua pittura è la figura mitologica della sfinge: metà donna, metà felino, che richiama anche la sua passione per i gatti (una gatta sarà tra i destinatari della sua eredità).
Va registrato, infine, il carattere introspettivo che il suo stile assunse con la morte della mamma, avvenuta nel 1971, alla quale l’artista era molto legata, e che rimanda allo svizzero Heinrich Füssli e all’inglese William Blake, ma continuando con il suo stile inclassificabile.
Il milanese Palazzo Reale, proseguendo con la celebrazione del centenario del Surrealismo (1924 – 2024) e con l’obiettivo di mettere in risalto le donne artiste, dedica a Leonor Fini la personale Io sono, curata di Tere Arcq e Carlos Martín, esaltandone i temi cari all’artista, mai così attuali come “la messa in discussione del genere, dell’identità, dell’appartenenza, dei modelli consolidati di famiglia, della mascolinità e della femminilità”.
Mostra: Io sono Leonor Fini;
dove: Palazzo Reale – Milano;
quando: dal 26 febbraio al 22 giugno 2025.
Immagine: autoritratto dell’artista Leonor Fini, 1968