Quando i bambini iniziarono ad essere curati
“Per un lungo periodo della storia i bambini non sono stati oggetto dell’attenzione del medico e nemmeno dell’attenzione sociale, perché la mortalità infantile era elevatissima e quindi sui bambini non c’era né un investimento affettivo, né un investimento scientifico. Era un’età di transizione molto rapida quando si sopravviveva”.
Lo ha spiegato la professoressa Donatella Lippi, del Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Università degli Studi di Firenze, a margine del XXXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, dal 5 al 7 luglio 2024 presso il Palazzo degli Affari del capoluogo toscano.
“Ma a partire dal Settecento – ha proseguito Lippi, la quale, come riporta l’Agenzia Dire, al convegno della Sipps ha presentato la relazione dal titolo I bambini nella storia della medicina – i bambini diventano poi oggetto dello sguardo del medico, che si concentra su determinate caratteristiche, su determinati parametri, su determinati problemi” Dalla loro attenzione deriva secondo la professoressa la nascita della pediatria, degli ospedali pediatrici e delle riviste”.
“La Rivoluzione francese porta alla luce tutta una serie di categorie di persone, bambini, donne e vecchi che fino ad allora non erano oggetto di quell’attenzione della quale, invece, godranno in seguito”.
Teoria in Italia. Pratica in Austria
Un breve excursus sulla storia della nascita degli ospedali pediatrici ci rimanda, infatti, al tardo Settecento, quando a Vienna Joseph J. Mastalier, nel 1787-88, fonda il Primo istituto pubblico per bambini malati. Prima ancora a Londra, George Armstrong, nel 1769 aveva aperto un ambulatorio, senza fortuna.
Fu l’istituto di Vienna, anche se secondo i biografi era più un ambulatorio che un ospedale, che sopravvisse per tutto il XIX secolo, a divenire, di fatto, il punto di origine della pediatria austriaca, di tutta l’area germanica e non solo.
All’Italia si deve il primo trattato in materia pediatrica, apparso verso la fine del XV secolo a firma del medico veneto Paolo Bagellardo. L’opera – di 22 capitali dedicati alla puericoltura e alle malattie dei bambini dal titolo Libellus de aegritudinis et remediis infantium (Libricino sulle malattie e i rimedi dei bambini) e stampato nel 1472 – coniugava la lunga e ampia conoscenza medica persiana al pensiero occidentale.
Seguirà nel XVI secolo, l’approfondimento di Gerolamo Mercuriale, laureato all’Università di Padova, dove insegnò dal 1569 al 1587 famoso, soprattutto per il De arte gymnastica, dove teorizzò l’importanza della ginnastica su base medica.
Poi bisognerà attendere l’età contemporanea per arrivare a un altro primato italiano: la nascita della scuola europea di pediatria a Firenze nel 1802, che ebbe vita breve e all’epoca, scarsa fama, ma oggi le viene riconosciuto il suo valore storico- documentario.
Tardi, ma abbiamo recuperato
Tardivo, invece, lo sviluppo delle strutture nosocomiali pediatriche: alla fine dell’Ottocento – nell’Italia ormai unita – nacquero i primi ospedali dedicati. E la prima cattedra per l’insegnamento della materia: all’Università di Padova, per merito di Dante Cervesato (1850-1905), che presso l’Ateneo veneto si era laureato, dopo aver maturato esperienza in campo pediatrico a Vienna, come allievo di Wiederhofer e tornato a Padova, aver aperto una piccola Clinica Pediatrica.
Nel 1891 a Firenze l’ospedale Meyer aggiungeva il reparto pediatrico che assimilerà in pochi anni l’intera struttura e al quale Donatella Lippi ha dedicato parte del suo intervento.
“Chi conosce il Meyer, uno dei più belli ed efficienti ospedali pediatrici del mondo, sa quanto sia importante il contesto e quanto sia importante il messaggio che viene dato ai bambini. C’è la ludoteca, c’è la scuola, tutti gli ambienti sono decorati, ad esempio, con la Pimpa. Ecco perché – ha concluso Lippi- non si ha l’impressione di entrare in quello che veniva considerato tradizionalmente l’ospedale, ma c’è una energia positiva che è sicuramente di grande aiuto anche nell’implementazione delle terapie per i genitori e per i bambini, per i piccoli pazienti”.