Il bivio de Roma Capoccia

Roma capoccia

Giovedì 6 luglio 2017: una capitale infuocata, ostaggio indiretto dei mezzi pubblici con un’adesione del 90% allo sciopero, in-vocato, per lo più, da sigle minori dei sindacati per protestare contro la Manovra Correttiva del 29 maggio 2017, licenziata in Parlamento con 218 voti a favore, 127 contrari nell’ambito della Commissione Bilancio.

L’emendamento sotto accusa, l’abrogazione dell’art. 148 del RD (regio decreto) del 1931, relativo agli autoferrotranvieri che in osservanza dell’utilità sociale della categoria,  regolava il rapporto di lavoro direttamente con la Pubblica Amministrazione (all’epoca ovviamente non esistevano le società partecipate da parte dello Stato), “garanzia” contro forme di liberalizzazione e privatizzazione del settore.

Così sostengono, i “negazionisti” dell’emendamento che lo considerano un favore al fantomatico mercato, in opposizione ai diritti dei lavoratori, nonostante l’art. in oggetto sia universalmente riconosciuto, datato, espressione della contingenza storica.

E gli ambulanti? Una spina al fianco della città. Di recente la serrata nei mercati e nei punti vendita ambulanti, contrari alla delibera Cola, licenziata dall’assemblea capitolina sul regolamento del commercio su area pubblica in città. No alla Bolkestein, recitano i cartelli davanti a Montecitorio.

La Bolkestein è una direttiva dell’Unione europea, relativa ai servizi del mercato europeo, passata alla cronaca parlamentare con il nome del commissario europeo che l’ha presentata, Frtis Bolkrestein.

Lo spirito della normativa europea è stato quello di di regolarizzare/deregolarizzare il mercato europeo. Rispetto agli ambulanti entro maggio 2017, gli Stati membri sono obbligati a rimettere a bando le concessioni per gli spazi commerciali per gli ambulanti, concesse dagli enti locali.

Rapporti di lavoro, come sempre, rapporti pericolosi, in particolare, in una società in transizione, ancora a cavallo, tra diritti dei lavoratori iper garantiti e diritti negati.

Tariffe Uber, in alcuni casi, che salgono alle stelle, taxi introvabili mentre si cammina, cercando di evitare le buche della malconce strade romane, le manifestazioni, le strade deviate per improvvisi cedimenti.  Ci si ritrova  così a conversare con il “vicino di città” e, mentre il sudore, si appropria del nostro corpo, e lo sguardo concesso metà al nostro interlocutore e metà all’amico fedele, lo smartphone, facciamo collezione di commenti topici, “vivere in questa città non è più possibile…. e poi non diamo la colpa ai grillini, ci dimentichiamo forse di Rutelli, dei parcheggi blu dati in gestione a sua moglie, agli affari del “giubileo”….meglio andarsene, e la sporcizia? Se vai in Svizzera, in Germania, il rispetto delle regole civiche, è all’”ordine” del giorno….

E se la conversazione s’avvampa, si  va oltre, passando in rassegna tutte le grandi opere incompiute o da compiere: lo stadio Tor di Valle (Roma ha davvero bisogno di uno stadio all’avanguardia polifunzionale?); il mistero “Eur spa” (la società del quartiere residenziale/ministeriale/commerciale Eur con la “sua” nuvola, il nuovo Centro Congressi dell’architetto Fuksas di pluriennale gestazione e realizzazione, una cattedrale chiusa nel cuore del quartiere, aperta solo per i convegni, un leggendario Acquario che dovrebbe aprire da anni, ma non apre mai.

In fondo, e con lo sfondo del processo di Mafia Capitale che ci ricorda, semmai ne avessimo bisogno, delle relazioni malate e patologiche tra criminalità organizzata e società, tra mondo politico, criminalità organizzata e società.

“Daje, ce la poi ffa”

Tutti vogliono andarsene, ma tutti rimangano in una capitale che capitola, stritolata tra le grandi, medie e piccole manovre.

Una città in cerca di un’identità scomparsa, destino ineluttabile delle metropoli, ma che può, se vuole, attraverso uno sforzo singolo e collettivo, abbracciare le sfide del terzo millennio.

Rapporti di lavoro in tras-formazione, infrastrutture, trasporti “semi-pubblici”, edilizia sociale, edilizia da ri-convertire (pensiamo a tutte gli scheletri di edifici mai costruiti, a quelli abbandonati).

Nuovi rapporti giuridici, architettonici, sociali, economici da ri-pensare nel nome della legalità, della sostenibilità, dell’imprenditoria intesa come sana iniziativa privata, del risanamento della Pubblica Amministrazione. Un’azione politica che parte dal cittadino, dal residente, dal privato e dagli enti istituzionali in primo grado.

Immigrazione, disoccupazione giovanile e “matura”, si affrontano in nome di un piano di azione concreto e libero da costrizioni e manipolazioni. Studiare per formare le figure professionali in nome delle necessità ed esigenze presenti e future.

Definire e realizzare una smart city che con la sua bellezza millenaria, ci sussurra mentre la guardiamo sconfortati, attoniti, “inc….ti”, delusi, “Daje, ce la poi ffa”.

Un’utopia, immaginare che una capitale sconfitta possa convertirsi in buona pratica nazionale? Sognare è lecito e, poi, come insegnano i consulenti educativi alle generazione in formazione,  “Dal sogno all’obiettivo” è possibile, stabilendo obiettivi ecologici e realistici.

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