Giornata della Memoria. Oggi più che mai o mai più

Che cosa significa commemorare la Giornata della Memoria dopo il pogrom del 7 ottobre 2023 in Israele, le atrocità compiute a Gaza, così come l’invasione della Russia in Ucraina nel 2022 e le sue minacce nucleari?

Una risposta immediata la troviamo in La Crocefissione Bianca che l’artista Marc Chagall dipinse nel 1938, subito dopo la Notte dei Cristalli avvenuta in Germania, tra l’8 e il 9 novembre dello stesso anno.

La Notte dei Cristalli (o Kristallnacht in tedesco), avvenuta tra il 9 e il 10 novembre 1938, fu un evento di violenza antisemita scatenato in Germania, in Austria e nei territori dei Sudeti recentemente annessi. È considerato un punto di svolta nella persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista, che si intensificò fino a culminare nell’Olocausto.

Per la prima volta in Italia, proveniente dall’ Art Institute of Chicago su richiesta di papa Francesco in occasione del Giubileo 2025, La Crocefissione Bianca (visibile gratuitamente alla mostra Chagall a Roma.

La Crocifissione Bianca, presso il Nuovo Museo del Corso di Roma fino al 27 gennaio 2025, è considerata una delle opere pittoriche più poderose e rappresentative del Novecento, una denuncia contro la violenza e l’odio (quanto mai attuali) e, al contempo, portatrice di un messaggio di speranza.

Il dipinto di Chagall (Lëzna 1887 – Saint-Paul-de-Vence nel 1985), pittore ebreo che sceglie la figura di Gesù, condannato nonostante la sua innocenza, ornato con lo scialle da preghiera ebraico e illuminato dalla luce bianca, crea una commistione tra simbolismo cristiano ed ebraico che, unito alla forza evocativa rendono il quadro particolarmente incisivo nel raccontare la guerra e l’oppressione, lanciando all’umanità, di ogni tempo e luogo, l’appello a non ripetere gli errori-orrori del passato.

Contro ogni forma di crudele sopraffazione umana. Mai più!

“Mai più si disse” quando emersero gli orrori del genocidio nazista e, a monito imperituro, si istituì la Giornata della Memoria, per commemorare i tanti milioni di vittime dei campi di concentramento e come avvertimento “contro ogni forma di crudele sopraffazione umana”; un monito rivolto a tutti per ricordare “quello che l’essere umano è stato capace di fare e che potrebbe accadere ancora. Non soltanto agli ebrei – dice la storica Anna Fora – ma a chiunque”.

La storia dell’antisemitismo è millenaria è ha colpito intere generazioni e la Shoah è stato l’acme, “la rappresentazione del male – specifica Anna Foa – e il suo ricordo pone interrogativi su tutta la condizione umana”. Ma “se il suo racconto viene disgiunto da altri mali, rende meno credibile chi lo enuncia perché non rappresenta più gli altri mali – specifica la storica. Vero che “i sopravvissuti portano cicatrici terribili” ma sono “sentinelle del male”. Non “un mondo a parte ma gridano ad alta voce quando l’umanità viene oltraggiata”.

“Rinchiuderla (la Memoria, ndr) nello stretto cerchio ebreo è una deformazione e un errore. Impedisce, dicevamo, che sia un monito, un monito per tutti. Proprio riferirla soltanto agli ebrei e soltanto a loro consente di dire “con una certa qual soddisfazione non priva di antisemitismo che le vittime si sono trasformate in carnefici”. E se le vittime sono diventate carnefici perché distinguere tra l’aggressore e l’aggredito?” (da: Liberare Auschwitz, oggi – Uomini e Profeti – Radio Rai 3 – 19 gennaio 2025).

La necessità di creare un termine preciso

Va chiarito, allora, il significato di genocidio, di cui la Shoah è l’esperienza estrema ma modello esemplare.

Il termine fu coniato dal giurista polacco Raphael Lemkin studioso dello sterminio degli armeni durante la Prima guerra mondiale. Dal greco γένος (ghénos, stirpe) e dal latino caedo (uccidere), Lemkin la usò nel 1944 nel suo libro Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation – Analysis of Government – Proposals for Redress.

Presto divenne di uso comune e, a partire della fine della Seconda guerra mondiale, è stato recepito e si è sviluppato nell’ambito del diritto internazionale e di alcuni diritti nazionali.

Nel 1946, con la risoluzione Onu 96 (I) il termine veniva riconosciuto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite inteso come “una negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani, poiché l’omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani”.

Nel 1948 con la Risoluzione Onu 260 A (III)  venne istituita la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, scritta con il contributo dello stesso giurista polacco, reduce dell’esperienza vissuta durante il processo di Norimberga; la serie di procedimenti giudiziari tenuti tra il 20 novembre 1945 e il 1º ottobre 1946, volti a perseguire i principali esponenti del regime nazista per crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Si svolse nel Palazzo di Giustizia di Norimberga, città simbolo del nazismo.

Una rivoluzione giuridica

L’introduzione del termine genocidio fu una rivoluzione giuridica. Fino ad allora, scrive lo storico Gabriele Nissim su Gariwo Mag le leggi proibivano l’omicidio di esseri umani soltanto a livello nazionale, mentre quando la vittima apparteneva “a un altro gruppo era permessa e perfettamente legittima”. E non solo “accadeva nelle guerre, dove i soldati erano decorati per le uccisioni dei nemici; era lecito sterminare perfino una popolazione considerata nociva all’esistenza del proprio gruppo”.

Raphael Lemkin comprese la necessità di coniare un termine preciso “come fosse un marchio immediatamente riconoscibile che descriveva la distruzione intenzionale di gruppi di esseri umani” e la necessità che fosse sostenuto da una legge universale, giuridica e morale. Altrimenti la stessa parola genocidio avrebbe perso il suo significato.

Doveva essere una legge da applicare “sia in tempo di pace che in tempo di guerra, ma anche quando la distruzione di gruppi nasceva da una azione difensiva. Del resto, ogni genocidio nella storia, da quello degli armeni a quello degli ebrei (e quelli che seguirono, ndr),  è stato presentato come azione difensiva da una minaccia “fantasiosa”, e tanti massacri sono avvenuti in nome della difesa del proprio gruppo, come è avvenuto da entrambe le parti nel conflitto israeliano palestinese” sostiene Gabriele Nissim.

I difetti e le virtù

Nonostante i veti incrociati delle grandi potenze che hanno impedito l’applicazione integrale del concetto di intenzionalità in uno sterminio come chiedeva Lemkin che insisteva sui riferimenti al genocidio culturale e politico (con conseguenza che non è stato possibili al tempo condannare i gulag sovietici e di “prevenire i democidi e politicidi, come quello di Pol Pot in Cambogia e il mancato” la legge  ha permesso nel corso degli anni successivi di “introdurre strumenti giuridici e politici di nuovo tipo come i  come i tribunali internazionali, la responsabilità di proteggere le minoranze perseguitate” prosegue Nissim.

E, soprattutto, la risoluzione Onu ha inserito un “nuovo comandamento morale” che richiama “l’umanità a prevenire i genocidi”: il richiamo “fondamentale del Giorno della Memoria” è la prevenzione di ogni forma di atrocità di massa “senza cui la memoria perde il suo senso etico”.

Democrazia: principio fondante della società post – guerra

Il cammino di civiltà fin qui percorso e in parte compiuto non sarebbe stato possibile se dopo gli scempi della Seconda guerra mondiale, le società appena uscite dall’ossessione della tiranna nazi-fascista, non si fossero battute per fare della democrazia il proprio principio fondante.

Esattamente il contrario del pensiero autocrate trumpiano ben sintetizzato dal suo seguace, Peter Thiel – cofondatore di Pay Pal e asso delle criptovalute – nella frase “La democrazia on è più compatibile con la libertà”.

Con l’autocrazia combattere per la democrazia e contro il genocidio sono due facce della stessa medaglia 

Come agire oggi, quando le autocrazie e i regimi illiberali in nome del sovranismo cercano di modificare o ridurre il ruolo degli organismi sovranazionali, si chiede Nissim.  “Tutti i nazionalisti che vogliono creare una separazione tra sé e gli altri hanno un punto in comune: limitare la libertà di espressione e indebolire il diritto internazionale – prosegue lo storico -. Se la democrazia non viene preservata, viene a mancare la condizione sine qua non per la mobilitazione internazionale contro i genocidi.

“Ecco perché, come osserva Yehuda Bauer, combattere per la democrazia e contro il genocidio, sono due facce della stessa medaglia” conclude Nissim  nel suo editoriale Difendere la democrazia per prevenire i genocidi. La nuova sfida per le giornate della memoria.

 

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.