L’ora di ricevimento. Lectio magistralis

Arrivi trafelato, hai fatto tardi. Sei stanco, dopo una settimana di lavoro precario in ogni senso. Forse, se non avessi acquistato il biglietto in anticipo, non saresti neanche uscito. È domenica, il giorno del riposo; l’unico giorno in cui puoi non fare nulla senza sentirti in colpa.

Il foyer è pieno di gente, una hostess ti guida nella ricerca del tuo posto; qualcosa dentro di te, sta iniziando a mutare. Accogli con piacere il vociare che ti circonda, gradualmente il peso degli “affanni quotidiani” ti abbandona e cede il passo ad una vivace e confortevole attesa. Le luci si abbassano fino a svanire.

In scena, un banco vuoto con un uomo accanto, che irrompe il silenzio della sala ,con voce pacata, solida, ferma. Le parole, la scenografia, gli abiti/costumi prendono vita e il miracolo si compie. Ogni volta con la stessa intensità.

Ora di ricevimento_Teatro Eliseo

Siamo al Teatro Eliseo della nostra bistrattata capitale. L’attore è Fabrizio Bentivoglio, noto a tutti gli amanti del cinema italiano e del teatro. Non accompagna più l’Americano rosso, ma è impegnato in un tournée dall’autunno scorso con la produzione del Teatro Stabile dell’Umbria, per la regia di Michele Placido, con il testo del drammaturgo Stefano Massini, L’ora di ricevimento.

Personalmente non l’avevo mai visto dal vivo, e non nascondo l’emozione di incontrare, artisticamente intendo, un attore che seguo al cinema da oltre vent’anni. Ogni parola, ogni gesto dialoga con lo spettatore, lo fa sentire importante e come se conversasse con ognuno di noi, all’insaputa dell’altro.

La valenza intimista e, al tempo stesso collettiva, sono il magico risultato della bravura del “commediante” e di un testo acuto, profondo, ironico, leggero e anti-pedagogico. Non intende insegnare, puntare il dito, ma “semplicemente” narrare una storia dalla doppia s: singola e sociale.

Oltre a Fabrizio Bentivoglio, in scena, l’ottimo Francesco Bole Rossini, una maschera dentro un attore e un attore nei panni di una maschera, e i bravissimi giovani attori del Teatro Stabile dell’Umbria con la loro forte carica multiculturale: Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti.

La scena di Marco Rossi, i costumi di Andrea Cavalletto, musiche originali di Luca D’Alberto, voce cantante, Federica Vincenti, luci Simone De Angelis.

Ogni componente della messa in scena è parte integrante dell’opera. Probabilmente merito del regista che, già dalla scelta di non microfonare gli attori, come spesso accade, intende restituire al testo tutta la sua autenticità, rispettando l’arte, intesa come riflesso ed elaborazione visuale, intellettuale della vita.

Il teatro e l’urbe

Fin dati tempi dell’antica Grecia, il teatro era portavoce dei miti della storia di un popolo, fonte di intrattenimento, ma anche di riflessione e di partecipazione civica.

Da qualche tempo, “corre voce” che il Teatro Eliseo rischia di chiudere. Luca Barbareschi, il direttore del teatro, che in prima persona ha investito affinché i cittadini di Roma potessero continuare a vivere “il miracolo” della scena ha indetto una conferenza stampa il 15 marzo 2017.

Come leggiamo su teatrocritica.net, Luca Barbareschi chiarisce che la sala non chiuderà almeno per questa stagione. Il direttore attende una risposta dal Ministero su possibili finanziamenti (in aggiunta a quelli del Fus- Fondo Unico per lo spettacolo) per far fronte alla struttura. Le stagioni prossime le devo programmare oggi– evidenzia Barbareschi.

Il teatro Eliseo, oltre ad offrire un cartellone contemporaneo e colmo di suggestioni, accoglie incontri sulle scienze, concerti ed altre forme di spettacolo- cultura. Storicamente, un punto di riferimento per la storia del teatro della città, con le sue due sale: Eliseo e Piccolo Eliseo. Chiuderlo significherebbe deprivare Roma di uno spazio culturale contemporaneo, di sospendere tutte le maestrante del teatro, di sottrarre drasticamente ossigeno alla città, alle sue forze in atto e, soprattutto a quelle potenziali.

“Con la cultura non si mangia – i profani sono soliti dire-. È vero, con la cultura si vive.

#Non chiudiamo l’Eliseo

 

 

Fotografia: Corriere dell’Umbra

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