Spagna. Esperimento nazionale delle 32 ore lavorative settimanali

Settimana lavorativa breve, anzi brevissima. In Spagna per porre rimedio al rallentamento dell’economia causato dalla pandemia, partirà un progetto pilota, triennale, che prevede un piano lavorativo di 4 giorni anziché dei tradizionali 5.

Pensando di riuscire in questo modo di aumentare la competitività e la produttività delle aziende, il Governo ha approvato il nuovo piano lavorativo destinandogli 50 milioni dal fondo di recupero dell’Unione Europea per il coronavirus distribuendoli a circa 200 aziende di medie dimensioni (che aderiscono al progetto), affinché riallineino la loro forza lavoro e riorganizzino i processi lavorativi adattandoli alle 32 ore settimanali previste, ma mantenendo le retribuzioni determinate nei contratti a tempo pieno.

I perché a favore

La proposta, avanzata dal piccolo partito progressista Mas Pais, prevede che i fondi coprano i costi della riduzione degli orari lavorativi al 100% durante il primo anno, al 50% per il secondo anno e al 33% per il terzo anno.

I sostenitori del progetto affermano che un fine settimana di 3 giorni comporterà un maggior consumo soprattutto nei settori dell’intrattenimento e del turismo (pilastri dell’economia spagnola). Con solo i 4 giorni lavorativi – già indicati con la locuzione inglese 4 days week – i lavorati accumulano meno stress perché riescono a equilibrare con maggior efficacia il tempo del lavoro e quello dedicato alla famiglia; maggiore serenità comporta anche un naturale aumento della produttività aziendale. A trarne beneficio anche l’ambiente perché si verificherà una riduzione degli spostamenti e, quindi, una riduzione dell’inquinamento.

Le esperienze positive

A confortare la settimana cortissima ci sono positive esperienze precedenti. Software Delsol, azienda nel sud della Spagna, secondo infobae.com, ha investito 400.000 euro nella riduzione dell’orario di lavoro dei suoi 190 dipendenti; in un anno ha registrato una riduzione del 28% dell’assenteismo, dovuto al fatto che “i lavoratori scelgono di andare in banca o per visite mediche nei loro giorni liberi durante la settimana” Al tempo stesso ha visto aumentare le vendite dei suoi prodotti del 20%. Qui però è bene precisare che l’azienda vende prodotti tecnologici, settore che non ha risentito della pandemia.

Esperienza non governative ma aziendali si registrano anche nel resto del mondo. Più che positiva ma breve la prova condotta nel 2019 dalla Microsoft Giappone: in un mese con la settimana da 4 giorni lavorativi ha visto la produttività aumentare del 40% e una riduzione dei consumi energetici del 23% e di carta del 59%.

In Italia

Nel 2020 è stata la volta della milanese Carter & Benson e qui il progetto è a medio termine. Iniziato a gennaio del 2020, la società italiana, provetta nelle soluzioni innovative (dal 2006 i lavoratori possono ricorrere allo smart working), ha deciso di portare avanti il progetto sperimentale delle 32 ore settimanali anche per il 2021, lasciando inalterati gli stipendi e i benefit.

Da sempre, però, la Carter & Benson, come ha spiegato alla stampa l’amministratore William Griffini, gestisce il lavoro secondo i principi del Mbo (management by objectives) che valuta la resa del dipendente in base agli obiettivi raggiunti rispetto a quelli prefissati, da cui ciascuno è responsabile del proprio rendimento. Per questo la società non ha mai applicato orari fissi ed è ricorsa allo smart working fin dal 2006. Anche per la Carter & Benson, un fine settimana di 3 giorni rende più armonioso il rapporto lavoro – tempo libero da dedicare a se stessi e/o alla famiglia e per se stessi, con vantaggi produttivi perché il dipendente, oltre ad essere più sereno, si sente più coinvolto e più responsabile.

I perché contrari

 

La Spagna è la prima nazione europea a portare avanti l’esperimento a livello governativo. Ma non mancano le perplessità. Voci dissonanti o totalmente contrarie affermano che un’economia severamente colpita dalla pandemia non offre le condizioni per gli esperimenti.

Ancora infobae scrive che il 2020 per via delle chiusure intermittenti delle attività e la quasi totale interruzione dei viaggi internazionali la Spagna ha visto una contrazione del 10,8% del suo PIL, pari soltanto a quella provocata dalla Guerra Civile degli anni Trenta del secolo scorso. A ciò si deve aggiungere che la Spagna ha un endemico problema di disoccupazione (da molti anni il più alto in Europa) e registra tra i maggiori tassi europei di lavori precari e stipendi bassi.

L’Eleconomista.es ritiene che il 42% delle aziende spagnole corrano il rischio di subire automaticamente un rincaro dei costi del lavoro. Sono le aziende che operano nell’ambito dei servizi e, quindi, non potranno mai adattarsi alle 32 ore settimanali, con le loro aperture di 6, quando non di 7 giorni la settimana. Ed è necessario mantenere quest’orario se si mira all’aumento della produttività attraverso il tempo libro di 3 giorni settimanali delle altre attività.

“Bar, parrucchieri, ristoranti, boutique, funzionano se offrono il servizio a tutte le ore” quindi con una settimana lavorativa ridotta a 32 sono saranno costretti ad assumere personale extra. Si parla di 1.563.653 aziende che impegnano circa il 90% dei 3 milioni di lavoratori autonomi, pertanto secondo gli esperti in alcuni settori non si verificherà un aumento della produttività che compensi il taglio dell’orario lavorativo.

Esemplare in tal senso il test realizzato in Svezia, una delle patrie del welfare europeo, precisamente in una casa per anziani, di Göteborg, dove per la settimana cortissima riducendo l’orario di lavoro per le infermiere, è stata obbligata all’assunzione di nuovo personale: ciò ha comportato un aumento dei costi del servizio.

Disparità tra i lavoratori

Dunque è evidente come la settimana di 32 ore comporterebbe una disparità tra i lavoratori perché molti lavori non possono essere compressi, molte le mansioni che, oltre a richiedere la presenza fisica, non possono essere svolte in minor tempo, come avviene appunto nel settore dell’assistenza sanitaria.

Esiste, infine, il pericolo che i 4 giorni lavorativi comprimano l’invariata quantità degli impegni e, come già sta avvenendo con l’introduzione della tecnologia che ha portato a una concentrazione di mansioni per una sola persona, annullino i potenziali benefici per il lavoratore e danneggino di molto la qualità della produzione.

Applicare la famosa formula “lavorare meno lavorare tutti” sembra quasi un’utopia.

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