Manifesto per l’umanizzazione delle cure in oncologia

Close up of a young caucasian woman's hands holding a senior ethnic woman's hands

Dal campo formativo a quello tecnologico, a quello del design, a quello socio-sanitario, il nuovo modello organizzativo e progettuale si basa sulla multidisciplinarietà. Non più un vate esclusivo che discetta e crea un intervento lavorativo, ma un nutrito gruppo di esperti che lavora per un obiettivo comune. Il Manifesto per l’umanizzazione delle cure in oncologia, presentato dall’azienda scientific e tecnologica Merck, esprime a pieno questa tendenza.

Lo scenario della terapia dei tumori sta cambiando radicalmente, anche nel nostro Paese – ha affermato Antonio Messina, a capo del business biofarmaceutico di Merck in Italia – per questo vogliamo rispondere ai nuovi quesiti che si stanno delineando in oncologia, attraverso un dialogo costante e proficuo con tutti gli attori coinvolti nel percorso di cura. Questo al fine di individuare azioni utili all’umanizzazione dell’intero processo, per fare sempre di più una concreta differenza nella vita dei pazienti e delle persone che se ne prendono cura.

Il Manifesto nasce per l’esigenza reale ed effettiva di creare una équipe multidisciplinare di specialisti che devono parlare tra di loro, focalizzando l’attenzione sul paziente e la comunicazione tra medici, attivando una rete di accoglienza e cura del paziente su tre versanti: medico, psicologico e di assistenza tramite l’opera di volontariato.

Presentato a Roma il 19 luglio 2017, il Manifesto si pone l’obiettivo di diffondere un nuovo approccio alla cura e al processo terapeutico, in cui di fronte ad una situazione altamente complesso, è fondamentale assicurare la qualità e la dignità della persona.

Ogni giorno in Italia circa 1.000 persone ricevono una diagnosi di tumore. Tuttavia, dal 1994 al 2011, si evidenzia un miglioramento del tasso di sopravvivenza, legato all’individuazione di strumenti prognostici innovativi più efficaci e agli importanti progressi terapeutici.

Il panel di esperti che ha dato vita al Manifesto ha visto la partecipazione dei rappresentanti dell’AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica; della FAVO, Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia; dello IEO, Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università degli Studi di Milano e della SIFO, Società Italiana di Farmacia Ospedaliera.

Accanto alla prevenzione, nuove e importanti terapie stanno emergendo in campo medico, come l’immuno-oncologia descritta dal professore Carmine Pinto, Presidente Nazionale AIOM, Direttore Struttura Complessa di Oncologia dell’IRCCS Santa Maria Nuova, Reggio Emilia, così come la medicina di precisione, le terapie molecolari, i biomarctori e le biobanche presentate da Michele Ghidini, Dirigente medico U.O di oncologia, Dipartimento Oncologico, ASST di Cremona, Nicola Normanno, Direttore S.C. Biologia Cellulare e Bioterapie – Direttore Dipartimento di Ricerca, I.N.T. Fondazione G. Pascale, Napoli e Gianluca Tomasello del Dipartimento di Oncologia, Ospedale di Cremona.

Fondamentale, nel processo terapeutico del paziente il contributo farmacologico come è stato evidenziato dalla Dott.ssa Emanuela Omodelo Salè, responsabile Area Scientifico-culturale Oncologia della Società Italiana di Farmacia ospedaliera, che  ha evidenziato come il ruolo del farmacista ospedaliero si stia trasformando in farmacista clinico, in cui la sua attività è più orienta alla presa in carico della terapia del singolo paziente; un professionista che esce dalla propria farmacia per operare in reparto in collaborazione con il medico. A questo proposto ricorda un progetto pilota dell’Università di Milano in cui il farmacista opera “sul campo”.

La comunicazione medico-paziente deve essere basata su apertura, fiducia reciproca e ascolto attivo. Nell’instaurare una comunicazione, il tipo di ascolto permette all’operatore di raccogliere informazioni importantissime sul paziente e sulla sua storia– afferma Gabriella Pravettoni, Direttore della Divisione di Psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e Professore presso il Dipartimento di Oncologia e Ematoncologia dell’Università degli Studi di Milano (UNIMI).

Si sottolinea così il cambiamento metodologico da modelli bio-medici a modelli bio-psico sociali. La decisione del processo terapeutico deve essere condivisa con il paziente. Ad oggi, sottolinea, Gabriella Pravettoni, la reazione psicologica ed emozionale è dipesa dal paziente, spesso per carenze comunicative da parte dei medici e degli stessi pazienti. Fondamentale dunque accrescere le competenze relazionali degli operatori sanitari per accogliere e gestire bisogni e aspettativi dei pazienti. Negli Stati Uniti, per esempio, non si può interagire con il paziente oncologico, senza un adeguato corso di formazione.

Per “umanizzazione dell’assistenza oncologica”, dunque, si intende l’insieme di cure mirate a migliorare la qualità di vita delle persone malate di tumore dal punto di vista clinico, psicologico, emotivo, spirituale, relazionale e sociale, in ogni fase della malattia.

In questo ambito il volontariato oncologico ha sviluppato una propria specificità di intervento in fase del processo di malattia, cura e riabilitazione. Esempio concreto di applicazione di questa formula è il Servizio nazionale di accoglienza e Informazione in ONcologia (SION), che, con la regia dell’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) e di tutte le associazioni che si occupano di volontariato oncologico.

 

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