In calo le esecuzioni capitali. La speranza viene dall’Africa

Sono in calo, a livello globale, le esecuzioni capitali, lo scrive Amnesty International nell’annuale Rapporto, relativo all’anno 2017.  “Faro di speranza – come scrive l’associazione umanitaria – è l’Africa sub sahariana dove si è registrato un significativo decremento delle condanne a morte”.

Con la Guinea a oggi sono 20 gli Stati del grande continente che hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, mentre il Kenya l’ha cancellata per i casi di omicidio e il Burkina Faso e il Ciad sono in procinto di realizzare riforme e/o nuove leggi per abrogare la pena capitale. Il Gambia ha firmato un trattato internazionale con il quale s’impegna a non eseguire condanne a morte fino a quando non avrà proceduto alla sua abolizione. Nel febbraio 2018 ha emesso una moratoria ufficiale per le esecuzioni capitali.

Nell’Africa sub sahariana nel 2017 soltanto 2 Stati, la Somalia e il Sud Sudan, hanno eseguito le condanne a morte. Nel 2016 gli Stati erano stati 5.

Secondo Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International “i progressi” di questa parte dell’Africa, devono essere un esempio per il resto del mondo affinché “segua la sua direzione e consegni quest’abominevole punizione ai libri di storia”.

Nel mondo

Complessivamente le esecuzioni capitali nel mondo sono state 993 in 23 Stati, il 4% in meno rispetto al 2016 che aveva visto 1032 imputati morire per la pena capitale, il 39% in meno rispetto al 2015, anno in cui ne furono eseguite 1634: il numero più elevato dal 2015.

Nel corso del 2017, oltre alla Guinea, anche la Mongolia ha abolito la pena di morte portando il numero degli Stati abolizionisti a 106 dei 142 Paesi che per legislazione o per pratica non si rifanno alla pena capitale.

In diminuzione anche le condanne a morte emesse in 53 stati per 2591 imputati, contro i 3117 del 2016, considerato un anno da record, registrando un calo del 17%.

A oggi sono almeno 21.919 prigionieri in attesa di esecuzione nel mondo.

Il caso Cina e i 4 Paesi responsabili dell’84% delle esecuzioni

I computi, però, non comprendono la complessa situazione in Cina, che per Amnesty International, si conferma come lo Stato dove si eseguono la maggioranza delle condanne a morte al mondo, pur non conoscendo i dati reali perché sono ritenuti segreto di Stato. Secondo il monitoraggio di Amnesty International e le sentenze inserite nel data base pubblico, il China Judgements Online della Corte Suprema, il Paese asiatico ha eseguito 993 esecuzioni, un numero che non include “le migliaia” che l’associazione umanitaria ritiene abbiano avuto luogo in Cina.

Seguono l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Iraq e il Pakistan che insieme costituiscono l’84% delle esecuzioni registrate, anche se, tranne Iraq, nei 3 Stati le uccisioni sono state inferiori rispetto al 2016.

Invece le esecuzioni sono raddoppiate o quasi in Palestina (da 3 a 6 nella Striscia di Gaza), Singapore (da 4 a 8),  Somalia (da 14 a 24).

In aumento anche negli Stati Uniti d’America, dove le uccisioni sono state 23 in 8 diversi Stati, capeggiati dal Texas; 3 in più rispetto al 2016. Ma nel  non troppo lontano 1999 le esecuzioni furono 98.

Conclusioni

Amnesty International dunque, è insolitamente ottimista per i positivi risultati dell’Africa sub-sahariana, anche perché “negli ultimi 40 anni abbiamo assistito a mutamenti positivi rispetto all’uso globale della pena di morte”. Ma precisa che “i passi avanti registrati nel 2017 e il loro impatto complessivo si vedranno nei prossimi mesi e anni. Per questo non bisogna abbassare la guardia”.

E davanti alla ripresa delle esecuzioni in Sudan e in Botswana (Africa) registrate in questi primi mesi del 2018, non esita ad aggiungere che “la circostanza che alcuni Stati abbiano compiuti passi indietro o abbiano minacciato di farlo, rende la campagna per l’abolizione della pena di morte più necessaria che mai”. Ma conferma la propria convinzione che “mobilitando il sostegno delle persone nel mondo possiamo opporci a questa sanzione crudele e porvi fine ovunque”.

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