Donne di conforto. La sentenza di Seul

Il tribunale distrettuale di Seul ha stabilito che il governo giapponese dovrà risarcire 12 donne coreane che prima e durante la Seconda guerra mondiale sono state ridotte alla schiavitù sessuale dall’esercito nipponico. La sentenza, pronunciata l’8 gennaio 2021 e che prevede il pagamento di circa 78mila dollari per ciascuna querelante, è il traguardo di una controversia giudiziaria durata 30 anni.

Dal 1932 donne giapponesi – ma soprattutto coreane – e di diversi paesi asiatici e di molte isole dell’Oceano Pacifico  sono state rapite, portate via con l’inganno o vendute dalle loro famiglie povere, per essere ridotte in schiavitù al servizio dell’esercito dell’Impero giapponese nei luoghi dove operava.

Ufficialmente chiamate donne di conforto (dal giapponese jūgun ianfu, ma nel rapporto speciale Onu del 1996 definite schiave sessuali militari), sono state circa 200mila (il numero esatto è ancora materia di studio e di dibattito, potrebbe essere molto più alto). Erano giovanissime: la maggior parte di loro aveva meno di 20 anni, fino alle più piccole di 12 anni.

Sono state liberate soltanto nel 1945 al termine del conflitto mondiale. Ma non sono riuscite subito a denunciare e far valere i loro diritti. Molte di loro, vinte dal trauma subito e dalla vergogna, non hanno mai raccontato l’orrore vissuto.  Chi fra loro è riuscita a reagire l’ha fatto quando, avanti con gli anni, ha trovato la forza di riunirsi con le altre e fondare associazioni in grado di ricostruire la storia e raccontarla al mondo.

Le prime testimonianze risalgono alla fine degli anni Ottanta. La prima causa giudiziaria con richiesta di risarcimento di 3 donne coreane risale al 1991, quando presentarono come prove i documenti  ritrovati dal professore e storico giapponese Yoshiaki Yoshida.

Nel 1993, Yōhei Kōno, generale dell’esercito e segretario generale del Governo giapponese di allora, al termine di un’inchiesta governativa ammise l’esistenza dei“centri di conforto”, ossia di bordelli militari durante la Seconda guerra mondiale, dove vi lavoravano donne “assunte in molti casi contro la propria volontà, tramite la persuasione e la coercizione”.

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