Alla ri-scoperta di quei fenomeni dei fratelli Basile

Due figure italiane di primissimo piano e i cui talenti hanno influenzato l’intera cultura europea dal XVII secolo in poi, ma la cui fama, anche storiografica, non ci sembra pari alla loro importanza. Un vuoto letterario e culturale che sta colmando Domenico Antonio D’Alessandro, con la sua cospicua monografia in via di realizzazione.

Ci riferiamo ai fratelli Basile, nati a Napoli: il poeta e letterato Giambattista nel 1569, e la musicista e cantante Andreana,  più nota come Adriana, nel 1586.

Adriana e il nuovo teatro

Nonostante la differenza di età, di sesso e di campo di azione, fra sorella e fratello, il personaggio trainante fu Adriana. E fissiamo così, il primo dei tanti elementi anticonvenzionali che puntellano la loro personalità e storia.

Adriana era famosa per la sua bellezza – da cui la definizione di Sirena di Posillipo – ma soprattutto per le sue capacità vocali: una bellissima voce di contralto che contribuì notevolmente – è l’opinione di tanti critici – all’affermarsi del melodramma, il nuovo stile che andava nascendo e affermandosi in quel tempo, e che si evolverà nella più moderna opera lirica, un genere, come è noto, di origine e sviluppo prettamente italiano.

Adriana, colpi la fantasia e l’estro di tanti letterati a cui dedicarono componimenti in versi, così come fu apprezzata e lodata dai musicisti per le sue doti canore.

Il famoso duplice fascino della cantante è ben sintetizzato nella lettera che l’innovatore musicista Monteverdi (1567 -1643) scriveva  su di lei  al cardinale Ferdinando Gonzaga (nel 1611): “Ogni venerdì sera, nella Sala degli specchi (Palazzo dei Duca Gonzaga di Mantova, ndr), si tiene un concerto. La signora Adriana canta, regalando ai sensi tutti un tale piacere e donando alla musica un tale potere e una grazia così particolare che quel luogo diviene un nuovo teatro“.

Giambattista. E la fiaba diventa letteratura 

Mentre Adriana incantava le corti italiane, il fratello Giambattista, a parte il suo lavoro di funzionario pubblico che svolse per tutta la vita anche grazie ai buoni uffici della celebre sorella, scriveva, scriveva e scriveva.

Primo a utilizzare la fiaba di matrice popolare come forma letteraria fino a comporre il suo capolavoro (per Benedetto Croce, il capolavoro del Seicento), la raccolta dal titolo Lo cunti de li cunti o il Pentamerone, da cui prenderanno a piene mani riadattandole e rielaborandole, secondo il loro tempo, i maggiori autori di favole: dal francese  Charles Perrault (1628 – 1703),  ai famosissimi  fratelli Grimm nell’Ottocento.

Il Pentamerone

Cenerentola, Rapunzel, Il gatto con gli stivali, La bella addormentata nel bosco o Hansel e Gretel, sono soltanto alcune delle fiabe, orami patrimonio comune alla cultura mondiale, provenngono da Lo cunti de li cunti overo – lo trattenemiento de peccerille (La fiaba delle fiabe o l’intrattenimento per i più piccoli), scritto in napoletano, noto anche come Pentamerone, perché, seguendo il modello del Decameron di Giovanni Boccaccio, è costituito da 50 fiabe raccontate da 10 fanciulle in 5 giorni.

Dedicato ai membri dell’Accademia napoletana degli Oziosi, istituzione culturale napoletana, che ebbe vita per tutto il XVII secolo e della quale Giambattista Basile era stato uno dei fondatori, Lo cunti de li cunti, firmato con lo pseudonimo Gian Alesio Abbattutis.  La cornice narrativa è costituita dalla prima novella dalla quale scaturiscono le altre 49, con l’ultima fiaba che si riallaccia all’avvenimento principale, concludendola.

Come evidenzia il critico letterario e professore, Giulio Ferroni, Basile “non si limita a registrare i racconti popolari, né va considerato un narratore per bambini: il suo libro mira a costruire un mondo fantastico e variopinto, dove alla gioia di seguire vicende stupefacenti si accompagna una loro sottile coloritura comica, una loro sottintesa parodia; e il riso, ostacolato dal proliferare di elementi magici, finisce poi per espandersi irresistibile, senza conflitti, con prorompente libertà“.

….Napoli tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, è una citta che vive la sua massima espansione economica, demografica, urbanistica, un universo brulicante, ricco di sorprese, dotato di un estro spontaneo. Basile insieme a Giulio Cortese elaborarono probabilmente una specie di breve grammatica del napoletano. Una letteratura che raggiunge risultati originalissimi, con un linguaggio ricco di colore, animato da invenzioni lessicali (da Storia della Letteratura Italiana, Einaudi Scuola).

Le donne di Basile. Tutta un’ altra storia

Le donne sono spesso protagoniste delle fiabe, ma le “donne di Basile”, sono ben diverse da come verranno trasformate dal processo di stereotipizzazione di genere compiuto  dagli autori successivi.

Lo sottolinea lo studioso e scrittore Nicholas Jubber Zoza nel suo libro I raccontastorie (ed. Bompiani, 2023), dove afferma che la storia della fiaba non sarebbe la stessa se a dominarla “fossero state le eroine” così come erano uscite dal pennino di Giambattista; donne “contestatrici, furbe, soggiogatrici, urlatrici, interruttrici – e non, invece, le bambole di carta più tardi uscite dalla penna di autori quali Charles Perrault e i fratelli Grimm”.

La fortuna de Lo cantu e del Seicento napoletano. Lingua letteraria, non dialetto

Lo cantu de li canti, ambientato nei boschi e nei castelli della Basilicata, in particolare nel castello di Acerenza, venne pubblicato  postumo, per l’interessamento dell’influente Adriana, in lingua napoletana tra il 1634-36.

Verrà tradotto e pubblicato in italiano soltanto nel XVIII, dalla tipografia Migliaccio, attivissima nel Sud della Penisola.

Bisognerà arrivare al 1924 quando il già citato filosofo Croce, lavorando sulla prima stampa, lo ritradusse e la fece pubblicare con sua prefazione, ma, nonostante le sue asserzioni di fedeltà al testo, lo depurò dai toni brutali non ritenendoli adatti a bambini e donne.

Il filosofo napoletano ebbe il merito di far riemergere il testo, ma perché lo stesso risplenda in tutta la sua ricchezza storico – letteraria popolare, da cui Basile aveva attinto e strutturato Lo Cunto si dovranno aspettare altri 50 anni.

Nel 1974 lo studioso italianista Michele Rak, attraverso approfonditi studi su Basile e il Seicento napoletano, avviò la ri-appropriazione della traduzione letterale dell’opera di Basile, ponendola nel suo pertinente contesto aulico, nell’edizione di Garzanti nel 1986.

Qui lo studioso, oltre a confermare Lo cunto come l’opera capostipite della tradizione fiabesca moderna in Europa, riconosce a Basile il suo ruolo di intellettuale del barocco napoletano, membro di quel gruppo di scrittori che dalle Accademie (Degli Incauti nel 1621 e poco dopo la già citata Degli Oziosi) promossero il napoletano come lingua letteraria.

Da allora si sono succedute altre traduzioni e adattamenti cinematografici dei quali ricordiamo  Il racconto dei racconti – Tale of Tales del 2015, girato dal regista Matteo Garrone, in gara per l’Oscar 2024 per Io capitano.

Ad Adriana quel che è di Adriana

Lo scavo storiografico della figura di Adriana Basile è, invece, in corso d’opera.

Ne parlano due capitoli de I Quaderni della Scarlatti n.4 (ed. LIM): Andreana Basile e La Galatea di Loreto Vittori tra umoristi romani e oziosi napoletani a  firma di di Domenico Antonio D’Alessandro  e  Adriana Basile, i Gutiérrez e l’aria spagnola in Italia, di Ignacio Rodulfo Hazen,

Un ulteriore interessante spazio dedicato all’artista lo troviamo nella trasmissione condotta da Sandro Cappelletto, Momus. Il caffè dell’opera del 18 febbraio 2024, con  La riscoperta di Adriana Basile e degli influssi spagnoli sulla nascita dell’opera italiana a inizio Seicento, il cui podcast è disponibile su RayPlaySound.

E per saperne di ancora un podcast prezioso, della serie Qui comincia sempre su RayPlaySound è senz’altro I quaderni della Scarlatti n.4, 2022.

 

 

Immagini: in copertina frame del film ‘Il racconto dei racconti’, 2015, regista Matteo Garrone. Nella pagina: 1) raffigurazione di Adriana Basile, musicista e contralto ; 2) Giambattista Basile, letterato e poeta 

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