Bufale, Facebook e il cittadino globale di oggi

Bufale: Facebook (ammettendo responsabilità) dichiara guerra agli untori imbrattatori armati di notizie false.

In un post di metà dicembre Mark Zuckerberg in persona fece una precisa ammissione di responsabilità: “Siamo molto più di una società di tecnologia – scriveva l’uomo che ci ha cambiato la vita – sebbene non scriviamo le notizie che leggete e condividete, riconosciamo che siamo qualcosa di più di un semplice distributore di notizie”.

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“Uno spazio dove la gente possa essere informata”

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Quell’essere “qualcosa di più” produce e comporta delle “responsabilità”, come dicevamo. “Siamo una specie di nuova piattaforma per il discorso pubblico e ciò significa che abbiamo un nuovo genere di responsabilità nel rendere le persone in grado di avere le conversazioni più significative possibili e di costruire uno spazio dove la gente possa essere informata“.

Soprattutto la seconda frase è interessante per noi: “Uno spazio in cui la gente possa essere informata” è un contesto ben diverso rispetto ad un mero scambio di informazioni personali, un incontro con vecchi amici o un ambiente nel quale costruire nuove relazioni (e cercare l’amore della propria vita…).

Ovvero: è un bel po’ diverso rispetto al “semplice” social network. Già il fatto che il fondatore di Facebook la metta giù così è di per sé storico: abitiamo un mondo sempre più ibrido, nel quale è sempre più difficile (nell’editoria e nell’informazione e non solo) riconoscere chi venda pere da chi produca mele da chi distribuisca biglietti per i concerti: ed ora abbiamo anche le prove. Ed è piuttosto singolare che un così efficace quanto storico sermone Mark Zuckerberg lo pubblichi non per darci gli auguri, come in un planetario discorso di fine anno presidenziale, no: lo scrive presentando un servizio/sistema antibufale. Singolare. E inquietante.

La Germania: “Bufale, multiamo Facebook!”

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Anche perché la faccenda è quanto di meno neutro si possa intendere: stiamo parlando del diritto all’informazione. E del diritto di poter credere in quanto leggiamo. Il che ha dei risvolti politico-istituzionali non di poco conto. Ecco per esempio l’idea tedesca: “La Germania vuole punire Facebook e altre piattaforme social per la diffusione delle bufale, proponendo sanzioni da 500 mila euro per ogni notizia falsa non rimossa entro 24 ore.

L’ipotesi, secondo quanto riporta il sito Deutsche Welle, sarebbe allo studio da parte della coalizione di governo tedesca che include l’Unione Democratica Cristiana, il partito di Angela Merkel, e potrebbe tramutarsi in una nuova legge” scrive www.primaonline.it. Il motivo è molto semplice: in Germania hanno paura di vedersi contaminare la prossima, durissima, storica campagna elettorale da notizie false confezionate ad hoc per l’impegno delle urne.

Velando – nemmeno tanto – il sospetto che così come sembra del tutto evidente essere successo negli Stati Uniti, da Mosca qualcuno non voglia influenzare l’elettorato tedesco. E, visto che questa fonte di notizie false non sarebbe particolarmente perseguibile (se non a parole), allora è più “semplice” prendersela con i distributori di quelle notizie. Facebook in testa.

Il servizio antibufale è un’ammissione di colpa

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Facebook ed epigoni in effetti non sono né neutri, né moralmente innocenti: a loro le bufale fanno comodo. Perché le bufale, le fake news, se son ben confezionate – e molte lo sono – sono fatte apposta per creare interesse, suscitare emozioni, scatenare reazioni di gruppo e di massa. Tutte cose che per i social network hanno valore. Non inteso come valore morale: no, proprio valore economico.

Perché i social network le loro montagne di soldi le fanno proprio smerciando il nostro interesse, le nostre emozioni e le nostre reazioni di massa. Sono aggregatori di persone, creatori di piazze virtuali. Se in quelle piazze c’è qualcuno che urla roba allucinante, e lo fa dicendo di affermare verità, creerà un gruppetto di uditori. Quanto più è grande quel gruppetto di uditori, tanto più la piazza si riempirà di gente. E quanta più gente ci sarà in piazza, tanto più varranno i pannelli pubblicitari affissi sui muri che delimitano la piazza. Il giochino è semplice, ed inquietante.

Bufale: Facebook ci dà fucili a salve

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Il sistema tecnologico con il quale Facebook afferma – confermando responsabilità e ammettendo l’esistenza del problema – di voler risolvere il problema della diffusione delle bufale è molto semplice: siamo noi.

Un po’ come accade sui prodotti wiki – con tutte le debite differenze ed eccezioni – saranno infatti gli utenti a segnalare se un contenuto che stanno guardando gli pare una bufala o no. In pratica: “E’ un bufala” sarà uno dei motivi con i quali potremo circostanziare da adesso in poi le segnalazioni di contenuti scorretti che troviamo su facebook.

La quale facebook – come fa molto spesso anche oggi su analoghe segnalazioni di contenuti a contenuto razzista, o di odio, o di istigazione alla violenza – può tranquillamente fregarsene. Oppure, come dice di voler fare, farà valutare la storia incriminata da un servizio di controllo. Se il servizio di controllo – a quanto pare composto da giornalisti – dovesse dare esito negativo, il contenuto non verrebbe rimosso: verrebbe segnalato agli utenti come “controverso”. Una magra consolazione, ma è comunque già qualcosa.

Sì: è l’ammissione che facebook non è più solo un social network. E che le bufale ci saranno ancora. Potremo solo continuare a fare come adesso: informarci con attenzione, autofornendoci di quanti più filtri possibile…

 

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