Mohamed Keita. La Biennale apre ai Rotko del XXI secolo

Dall’11 maggio al 24 novembre 2019 si terrà la 58° edizione della Biennale di Venezia.

Tra i tanti appuntamenti, la mostra d’arte Rothko in Lampedusa sarà aperta al pubblico, presso Palazzo Querini – Fondazione Ugo e Olga Levi per tutta la durata della Biennale.

Il grande artista del Novecento, Mark Rothko (1903-1970),  lettone di religione ebraica, rifugiato negli Stati Uniti, insieme alla famiglia, in fuga dal regime sovietivo, agli inizi degli anni 20, ebbe modo di esprimere il suo talento artistico nel paese di accoglienza.

Il titolo traccia una linea ideale di continuità tra l’artista e tutte le persone che scappano dalla loro terra e raggiungono Lampedusa; tra di loro, potrebbe esserci il Rothko del XXI secolo.

Ed ecco le opere di 6 giovani artisti rifugiati, scelti nel mondo attraverso l’UNHCR,  che dialogano con 8 artisti mondialmente famosi.  Oltre l’esposizione delle opere d’arte  Rothko in Lampedusa si propone come una piattaforma di messaggi, esperienze e storie personali, con l’intenzione di smontare il paradigma del rifugiato inteso come minaccia per la nostra società e il nostro benessere.

Come dimostrano gli scatti e la vita dell’ivoriano Mohamed Keita, classe 1993, arrivato in Italia come rifugiato politico nel 2010, attraversato la Guinea, il Mali, la Nigeria, il deserto libico e la detenzione a Malta. Oggi Keita è un fotografo affermato che  vive a Roma e tiene workshop in diverse città italiane: ha aperto una scuola di fotografia  in Mali e sta per inaugurarne un altra in Kenya:  le sue fotografie sono state esposte a Roma, Milano, Londra e New York. Ma prima di questi traguardi ha vissuto una storia che, incredibilmente, è fatta di tutti gli stilemi dei pericoli del viaggio Africa-Mediterraneo.

Il viaggio

Aveva 13 anni quando fu costretto a lasciare da solo il suo Paese: durante la guerra civile una bomba ha fatto saltare la sua casa. Dentro c’erano i suoi genitori. Mohamed era momentaneamente uscito e si è saltavo per caso. Rimasto solo,  non sapeva cosa fare. Poi ha pensato di andare in Guinea e ha proseguito per il Mali: luoghi, dove parlavano la sua stessa lingua e sperava d’incontrare una famiglia.

Ha continuato a viaggiare verso la Nigeria, dove gli hanno rubato le scarpe e a piedi nudi è arrivato in Libia ed è salito su una barca verso il Mediterraneo. “La barca era piccola – racconta Mohamed a Sky tg 24 – eravamo più di trenta persone, c’erano anche dei bambini. Il viaggio è durato 3 giorni e 3 notti. Avevamo solo un po’ di acqua e dei biscotti. Mi ricordo la paura delle persone. Non la mia. Io non ho mai avuto paura perché in quel periodo non mi interessava la vita”. Da Malta giunge in Italia.

Roma e l’incontro con la fotografia

Ha 17 anni quando è alla stazione di Roma per prendere un treno e incontra un ragazzo che parla la sua stessa lingua che gli domanda perché vuole proseguire il viaggio se fino a quel momento è stato tutto così difficile.  E allora Mohamed rimane a Roma, ma per 3 mesi dorme in strada, alla Stazione Termini, fino a quando è accolto  da Civico Zero, il centro diurno di Save the Children dedicato alla protezione e alla promozione dell’integrazione dei minori stranieri.

Viene coinvolto in un progetto di accoglienza che prevede anche un corso di fotografia  e  un operatore gli regala una macchina fotografica usa e getta. E scopre di avere la passione per la fotografia. Il primo scatto è proprio il cartone dove dorme, una coperta e il suo zaino:”Non avevo mai avuto una mia foto fino a quel momento – ricorda Mohamed — così ho fotografato la mia condizione per ricordarla anche in futuro ed evitare scelte sbagliate”. Tutto quello che fa in campo fotografico, lo deve a quella sua prima fotografia.  Quando era piccolo, gli piaceva il calcio e il canto non pensava alla fotografia. Poi il viaggio dall’Africa all’Italia durante il quale “ho imparato tante cose e ora ho il mezzo per raccontarle”.

Infatti, Mohamed, con i suoi scatti, non cerca la bellezza, ma gli interessano le persone e la loro vita: la comunicazione e la condivisione, perché attraverso un’immagine “si può capire il pensiero di una persona”. Il senso di profonda solitudine provata durante il viaggio gli è rimasta addosso.  Il suo primo ciclo di scatti, realizzati tra il 2011 e il 2013, s’intitola J’habite Termini. “Quando si vive per strada, le persone che passano ti guardano male. Lo capisco perché la strada non è un posto per dormire,  ma per prima cosa bisognerebbe domandarsi perché è lì, sul marciapiede. La strada – conclude Mohamed – è un posto che non piace a nessuno”.

La storia di Mohamed insieme con altre 4 storie vere  è stata raccolta nel libro In mezzo al mare. Storie di Giovani Rifugiati di  Mary Beth Leatherdale ed Elizabeth Shakespeare, pubblicato da Il Castoro.

La mostra Rothko in Lampedusa, curata da Luca Berta e Francesca Giubilei,  è organizzata dall’UNHCR.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.