L’era dell’abdicazione arriva in Giappone
In Giappone finisce un’era. Il voto della Camera dei Consiglieri, avvenuto il 9 giugno 2017, che segue quello già espresso il 19 maggio 2017 dal parlamento nipponico ha approvato una legge, la quale, autorizza l’imperatore in carica, Akihito, ad abdicare a favore del principe ereditario Naruhito.
La legge prevede che il passaggio dei poteri avvenga nel dicembre 2018, quando l’imperatore in carica compirà 85 anni. Sarà la prima volta, dal 1870, che il Trono del Crisantemo assisterà a un’abdicazione, posto che finora l’ordinamento della Casa imperiale non contemplava la successione per un imperatore ancora in vita.
Giacché per tradizione un’era in Giappone, cambia di regno in regno, con la legge andata in porto, il 31 dicembre 2018 terminerà l’era Heisei – “pace ovunque”, iniziata ufficialmente il 12 novembre del 1990, quando Akihito subentrò al padre Hirohito, morto il 7 gennaio del 1989.
La data precisa dell’abdicazione dovrà essere ufficializzata dall’ordinanza del governo, che sarà emessa soltanto dopo la promulgazione della legge.
Il provvedimento, risponde alla volontà dello stesso Akihito. L’imperatore che nell’agosto del 2016, in un messaggio televisivo rivolto alla nazione, aveva espresso la sua intenzione di lasciare il trono, per il timore che l’avanzare dell’età e la salute precaria gli impediscano di assolvere i suoi compiti. Secondo notizie ufficiose, un’apprensione che l’imperatore avanza anche nei confronti della moglie Michiko Shoda, che vanta 83 primavere; apprensione compresa dai proponenti dal testo approvato, che hanno espresso per l’imperatore sentimenti di “indulgenza e umanità”.
Aikito, quindi, sarà molto probabilmente il primo imperatore dell’era moderna a lasciare il trono ancora in vita. Una conquista da aggiungere al primato storico di essere stato il primo principe ereditario giapponese a sposare una borghese.
La discendenza diretta dagli dei
Aikito è il 125° imperatore legittimo dal trono di Jinmu, ufficialmente datato all’11 febbraio 660 a. C.
Secondo la Costituzione giapponese l’imperatore non ha poteri governativi, ma è il simbolo della nazione e dell’unità del popolo giapponese, nonché capo religioso. Una prerogativa ben espressa dal termine tennō, “sovrano celeste”, con il quale è definito l’imperatore fin dal VII secolo e preso dal buddismo antico, che il sostantivo tennō, si riferiva a uno degli Shitennō, i Quattro Re Celesti, i guardiani dei punti cardinali.
La mitologia nipponica vuole che il già citato Jinmu, capostipite della dinastia imperiale, fosse il pronipote di Amaterasu, Grande Dea del Sole, una delle principali divinità scintoiste. Da cui la discendenza diretta dei monarchi giapponesi dagli dei.
Sebbene nel corso della storia il grado di potere effettivo della monarchia giapponese abbia subito alterne fortune e, spesso, sia stata soltanto formale, subendo le ambizioni dei gruppi militari o sociali ascendenti, fino al 1946 ha mantenuto la sua natura “divina”, nella quale s’identificava lo stesso popolo.
La dichiarazione della natura umana
La disastrosa sconfitta che il Giappone ha riportato nella II guerra mondiale, ha comportato per il Paese profondi mutamenti e l’imperatore di allora, Hirohito, padre dell’attuale Akihito, fu costretto dagli statunitensi vincenti a pronunciare via radio, lo storico discorso alla nazione Dichiarazione della natura umana dell’Imperatore (Tennō no ningen sengen), con il quale dichiarò di non essere di natura divina e, di conseguenza, negò la superiorità del popolo giapponese riguardo agli altri popoli.
L’atto successivo fu riscrivere la Costituzione del suo Paese, redigendola secondo i voleri dei Paesi vincenti: Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia. Per inciso con la Russia, il Giappone non ha ancora firmato i trattati di pace per la fine della II guerra mondiale.
Con la nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1947, l’istituzione imperiale nipponica ha perso molte delle sue precedenti prerogative.
Ma nonostante non goda dei privilegi del passato e non sia di natura divina (o forse per questo) l’ultra ottuagenario imperatore Akihito ha bisogno di attendere l’autorizzazione del governo, per raggiungere l’agognata e, considerata l’età, legittima “pensione”.
Il terzo millennio ci sta abituando ad insolite abdicazioni, segno di tempi in cui anche re e papa hanno la facoltà di ritirarsi in nome di un rinnovato potere terreno che, come ogni altro, necessita di una ri-generazione.