Fashion designer in nome dei VIP
Victoria Beckham, Alexa Chung, famosa presentatrice britannica, Rihanna fino ad arrivare a vari membri del clan Kardashian-West, l’attore Bill Murray, tanto per citare solo alcune delle tante celebrità che finiscono sempre per diventare improvvisamente stilisti, insospettatamente esperti di moda. Possibile che abbiano tutti, anche le personalità più lontane dal fashion, l’adeguata formazione e il giusto guizzo creativo indispensabile per creare una propria collezione di abiti?
Apparentemente sì, posto che a ogni presentazione della nuova linea di abbigliamento che reca la firma del famoso di turno, quest’ultimo si prodiga in dichiarazioni incentrate sul processo creativo e su come sia riuscito a trovare il tempo per creare la sua linea, nonostante gli impegni della sua primaria occupazione.
Ed è a questo punto che la domanda su fino a che punto la collezione sia veramente frutto della sua capacità, sorge spontanea e, conseguentemente, fino a che punto la celebrità di turno partecipa al processo creativo o se si limita a prestare soltanto il loro volto e nome.
Per cercare di conoscere meglio lo schema di marketing dietro il quale si “celano” le vere collaborazioni tra gli autentici addetti ai lavori della moda e i personaggi celebri, occorre dividere questi ultimi in 3 categorie: coloro che decidono di collaborare puntualmente e associano il loro nome a un marchio già esistente; coloro che effettivamente decidono di dedicarsi al settore del fashion e la lasciano la loro professione precedente, quelli che per affari fanno del loro nome un brand, ma non partecipano in alcun modo alla creazione vera e propria.
Nel primo gruppo, ossia nella collaborazione costante, il personaggio dal nome famoso firma una capsula collection , ossia una collezione di pochi e basilari capi che possono essere interscambiabili tra loro. La capsula, sempre strettamente attinente allo stile del personaggio famoso, ha come target di vendita i fans del personaggio che potenzialmente non dovrebbero esitare a investire una bella somma di denaro, pur di indossare le “creazioni” del proprio idolo. Il compito del personaggio è, quindi, quello di vincolare il proprio nome all’immagine della firma, mentre le decisioni importanti sulla creazione della collezione sono ben salde nelle mani degli esperti del marchio.
O come ha dichiarato la stessa Alexa Chung, che ha presentato la sua linea di abbigliamento a fianco del marchio Marks and Spencer, si è limitata a cercare negli archivi dell’azienda di moda quei disegni che sentiva a lei più affini, che sono stati poi rivisti e modernizzati per l’occasione.
Questa è la pratica più diffusa. I personaggi famosi riferiscono agli esperti le informazioni sul proprio stile, su capi che preferiscono comprare e indossare. Perché certo è importante che la linea presentata per avere successo deve riflettere appiano l’immagine del personaggio famoso.
Nell’articolo pubblicato sulla rivista specializzata The fashion law, nel giugno 2014, viene scritto senza mezzi termini “Dimentichiamoci la confusione nata a causa di certi rivenditori che pretendono che si creda che i veri creatori siano i personaggi stessi. Non si diventa creativi da un giorno all’altro. In realtà, nella maggior parte dei casi si tratta di accordi sulle “licenze”, il personaggio famoso, cantante, modella o it-girl che sia, autorizza la casa di moda a utilizzare il proprio nome in cambio di un compenso economico. Poi ci sono, delle differenze, secondo del grado di partecipazione del personaggio nella collaborazione”.
Il giornalista Alexander Furly, in un articolo del 2015 scritto per il britannico The Indipendent, dichiarava che Victoria Beckham, pur avendo lasciato la sua carriera di cantante che l’ha resa famosa nel mondo con il gruppo delle Spice Girl, nel 2005 per diventare direttore creativo a tempo pieno, della propria azienda di moda lanciando varie griffes, di cui un’omonima, in realtà non conosce “il mestiere”.
La stessa Beckham, d’altronde, in un’intervista rilasciata al New York Time, ha riconosciuto la sua carenza formativa e ha spiegato il suo metodo di lavoro, che consiste nel riunirsi con i suoi collaboratori, ai quali spiega “ciò che la ispira, quali sono i suoi desideri, quale tipo di capi preferisce indossare”.
Ma la nostra ex Spice, un geniaccio deve pur averlo se nonostante questa “incompetenza” dichiarata nel settore fashion, nel 2014 è stata premiata dalla British Fashion Council come migliore firma dell’anno e da allora non ha cessato di ricevere vari riconoscimenti e buone critiche da parte dei giornalisti del settore e ad avere ottimi risultati di vendite.
Il fenomeno dei “famosi – disegnatori di moda” è stato affrontato anche dall’editrice Teri Agins, autrice del libro “Hijacking The Runway”, dove spiega che questi personaggi pur non essendo in grado di realizzare un bozzetto e, gran parte dei meriti spettano alla loro squadra di veri stilisti e consulenti, sono degli abili gestori e imprenditori della propria immagine, il vero perno del successo di questo fenomeno: riuscire a veicolare la propria fama da un settore all’altro, a essere credibile senza subire mutamenti di personalità e la base di progetti che producono milioni di dollari di vendite.
Perché quello che interessa realmente ai potenziali compratori non è se sono i loro ideali a creare, ma a indossare dei capi che rispecchino il loro stile. Naturalmente c’è il rovescio della medaglia: quando un marchio di abbigliamento si unisce a quello di una celebrità, corre il rischio della volatilità della fama del personaggio, la cui popolarità può cambiare drasticamente, anche da un momento all’altro. Ma nonostante ciò, a giudicare dalle numerose alleanze tra l’industria della moda e i nomi celebri, e gli ottimi fatturati delle linee griffate dai famosi che niente hanno a che fare con la moda e, sempre e comunque continua a essere ottimo affare.