Jurassic Park in Italia

Trieste, Benevento,  Altamura cosa hanno in comune? Se immaginiamo un percorso culturale ideale che parte dal nord d’Italia  per arrivare al sud, o in senso contrario, lo potremmo fare seguendo le  impronte dei… dinosauri. In pochi lo sanno, ma  queste tre località italiane, rappresentano tre unicità in fatto di ritrovamenti paleontologici, a livello internazionale, che meritano di essere conosciute.

Iniziamo dunque il nostro viaggio virtuale (e virtuoso) nel tempo. Fino agli anni 40 del secolo scorso, gli studiosi ritenevano che l’Italia non fosse  stata terra di dinosauri. Ma proprio nel 1940 venne rinvenuto il primo fossile italiano.  Come leggiamo sul sito Dinosauri in Italia, si trattava di un’orma ritrovata sul Monte Pisano (Toscana), appartenente ad un dinosauro di piccole dimensioni, carnivoro chiamato Grallator  (Coelurosaurichnes toscanus), datato  circa 220 milioni di anni fa.

Questo ritrovamento rimane l’unico fino agli anni 80 del Novecento, quando si  verifica un’accelerazione di ritrovamenti fossili, che ci conduce alle nostre tre mete.

Ciro, Antonio e i “cugini” di Altamura

Il dinosauro Ciro, parti di tessuti molli e organi interni fossilizzati in modo eccezionale

Il dinosauro Ciro, parti di tessuti molli e organi interni fossilizzati in modo eccezionale

Benevento, 1980. Giovanni Todesco, non un paleontologo ma un semplice appassionato di fossili, trova,  nella cava di Pietraroja (Benevento), un fossile, che per le sue piccole dimensioni, immagina essere quello di una comune  lucertola, privo di importanza scientifica e, per questo, lo custodisce nella propria abitazione.

Soltanto nel 1993 e dopo aver visto il film Jurassic Park, Todesco  sospetta che il suo ritrovamento possa trattarsi di un dinosauro e lo sottopone all’esame del paleontologo Giorgio Teruzzi, che lo identifica come un piccolo dinosauro carnivoro.

Nel 1998 viene riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale come  uno dei reperti più importanti della paleontologia mondiale, per il suo straordinario stato di conservazione e conquista la copertina della famosa  rivista scientifica Nature. Infatti, Scipionyx samniticus, alias Ciro (denominazione scientifica e popolare),  oltre ad essere il primo scheletro intero di dinosauro trovato in Italia,  cucciolo e risalente a circa 113 milioni di anni fa, presenta una eccezionalità di grande importanza scientifica,  ossia parti di tessuti molli e organi interni  fossilizzati in modo eccezionale, al punto che recenti riesami, ad elevato livello tecnologico, hanno permesso  il loro studio anche  a livello cellulare e sub cellulare.

Ciro, contenuto in una lastra calcarea, è conservato presso  la Sopritendenza Archeologica di Salerno, Benevento e Caserta.  Calchi dell’originale si trovano al Museo Civico di Storia Naturale di Milano,  al Paleolab di Pietraroja e al MuSe di Trento.

Trieste 1994. La geologa Tiziana Brazzatti nel corso di una rilevazione geologica nella zona della Valle del Pescatore (Trieste),  s’imbatte in un

Tiziana Brazzatti scopre, nel 1994, Antonio

Tiziana Brazzatti scopre, nel 1994, Antonio

affioramento calcareo e vede la zampa di un rettile.  Comprende l’importanza della sua scoperta e la comunica al Museo e all’Università di Trieste. Iniziano i lavori di scavo che, nel 1997, portano alla luce lo scheletro di un dinosauro,  intatto al 90%.  Si tratta di Tethyshadros insularis, famoso come Antonio, fossile di un dinosauro erbivoro vissuto circa 75 milioni di anni fa.  Antonio si presenta affine agli adrosauri, ossia i famosi dinosauri erbivori a becco d’anatra  dell’America del Nord ,  ma molto più piccolo, alto circa mt. 1,30 erbivoro.  La sua eccezionalità si deve all’interezza del suo scheletro in connessione anatomica, della lunghezza di mt. 4.

Antonio si può visitare nell’area paleontologica del suo ritrovamento, Valle del Pescatore, dove sono conservate anche i reperti di un piccolo coccodrillo primitivo. L’area, nonostante l’importanza scientifica e il potenziale valore turistico, non gode degli adeguati investimenti e finanziamenti pubblici e l’intera gestione ricade sulle forze della  Cooperativa Gemina.

Altamura 1999. Due sedimentologi Massimo Sarti e Michele Claps, durante un’escursione, s’imbattano in una cava dismessa a Pontrelli (Altamura in provincia di Bari). Probabilmente  la curiosità propria degli scienziati, li spinge ad entrare e ad addentrarsi nella cava, dove scorgono delle enormi impronte nel suolo. Sono impronte di dinosauro, come certificherà successivamente il paleontologo dell’Università della Sapienza di Roma, Umberto Nicosia.

Su un estensione di dodicimila metri quadrati,  vengono rinvenute circa 25 mila impronte di dinosauri risalenti a circa 80 milioni di anni fa e appartenenti ad un gruppo di circa duecento animali,  di almeno cinque specie di erbivori e carnivori. La grandezza delle impronte varia dai cinque – sei,  ai quaranta – quarantacinque centimetri, da cui si deduce che alcuni esemplari potevano raggiungere un’altezza di dieci metri.  Ad oggi il sito di Altamura è il sito più grande e ricco d’impronte e di biodiversità  d’Europa, se non, come sostengono alcuni, del mondo.

Scienze e turismo sulla via della paleontologia

Cava di Pontrelli, Altamura. Una delle orme grandi delle 25 mila ritrovate

Cava di Pontrelli, Altamura. Una delle orme grandi, di dinosauro

Questi siti paleontologi si sono dimostrati di notevole importanza anche per lo studio della geografia, della flora e della meteorologia dell’antichità. Soprattutto i ritrovamenti di Altamura per la loro estensione, documentano come, durante il periodo del Cretaceo (era geologica corrispondente ai ritrovamenti dei fossili, che va dai 140 ai 65 milioni di anni fa), la distesa della terra emersa fosse maggiore di quanto supposto e con vaste aree di copiosa vegetazione in un clima equatoriale.

Come abbiamo precedentemente accennato, questi luoghi sono misconosciuti e pur classificati come Beni culturali, non godono dei finanziamenti e investimenti che meriterebbero.

La cava di Pontrelli non è, al momento fruibile al pubblico e, dopo sedici anni dal loro ritrovamento, le impronte rischiano l’erosione. Il sito ha ottenuto nel gennaio del 2016 (dopo tredici anni dalla decisione dello stanziamento, datata 2003) un milione di euro dal Ministero dei Beni Culturali, a sostegno dei lavori in corso per la sua riqualificazione, la protezione e conservazione.

Sia Flavio Bacchia, geologo della Cooperativa Gemina di Trieste, sia Giacinto Forte, sindaco di Altamura, entrambi intervistati da Radio Rai 1, oltre a descrivere la potenzialità scientifica di questi luoghi (la zona ancora da scavare del Villaggio dei Pescatori è molto ampia), hanno posto l’accento di quanto la giusta valorizzazione favorirebbe sia la formazione scientifica e professionale, sia il turismo con un sicuro ritorno economico, favorito dallo sviluppo dell’indotto e dal conseguente incremento occupazionale.

Al termine del nostro viaggio, non possiamo che auspicare che le nostre zone paleontologiche abbiano la giusta attenzione dei Beni culturali e che siano inserite, promozionandole a dovere, nei circuiti turistici tradizionali, certi come siamo che invitare il visitatore ad estendere il suo sguardo anche verso l’Italia dell’era cretacea, non possa che rafforzare la nostra già meritata fama di culla culturale del mondo.

Fonti consultate

dinosauroantonio.it

lacittadelluomo.it

comune.altamura.ba.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.