Il filo della memoria ci riconnette al presente e ci proietta nel futuro

Sguardi apparentemente distratti, vagano in un’aula “aumentata” da una Lim (lavagna digitale) di ultima generazione; c’è chi guarda dalla finestra, chi “incappucciato”, quasi  fosse fagocitato dalla propria felpa che rende tutti uguali, quasi invisibili, ma al tempo stesso, distinti. Una diversità soffocata, ignorata, dispersa, ma rimasta intrappolata nelle maglie di una moda che si fa manifesto di un atteggiamento mestamente indifferente, ma che “pur si muove”.

Mi guardo intorno, li guardo ma, forse, non li vedo. Sono stanca; la sveglia è suonata alle 4,30 di mattina. Ho attraversato la città, preso un treno, dove la maggior parte dei passeggeri ha ripreso il sonno interrotto.

Arrivo in una stazione di periferia, le mura imbrattate; emergo, e mi trovo di fronte a una super strada. Edifici in parte diroccati e in parte appartenenti a un’edilizia novecentesca, appartenente a un’epoca che rintracciava nei palazzoni alti e intenzionalmente spersonalizzati, un’opportunità di vita.

Mi incammino verso la scuola. Dopo poche centinaia di metri, intravedo una costruzione ampia con delle bandiere (rigorosamente italiana ed europea): vanta un bel parcheggio. Varco la soglia e mi imbatto in una serie di “sharing library”; che bello, penso. I libri mi mettono di buon umore,  così come la scuola, organizzazione reale e mitica, pratica e ideale, che tocca le più diverse gamme delle emozioni, che si fanno sentimenti, che si articolano in pensieri, parole e comportamenti.

Ritorniamo alla “mia” aula un po’ sconnessa, ma è mio compito “riconnetterla”, altrimenti che ci sono andata a fare? Mi hanno chiamato, per fornire uno scenario, per mostrare opportunità dentro e fuori di loro.

Mi presento. Il loro fiacco interesse iniziale si fa ancora più debole. Inizio a illustrare il mio intervento, gli pongo delle domande, distribuisco delle schede da compilare, ma loro non ci sono e, forse , non ci sono neanche io.

Poi, a un certo punto, in modo inaspettato, un ragazzo, che fino a un minuto prima entrava e usciva dalla classe con aria apatica, estranea, distaccata, mi rivolge una domanda o, meglio, una domanda-affermazione, votata al vittimismo e al disfattismo, che  mi sveglia da quella palude melmosa di impotenza in cui mi ero andata a inzaccherare. Non ho risposte consolatorie, né le voglio avere.  Accolgo quel sentire per metà di tradizione qualunquista e metà frutto dell’età acerba che ci rende, inconsapevolmente, assolutisti e svalutatori “d’oro” del contesto che ci circonda.

Forse ha ragione, forse hanno ragione tutti quelli (senza distinzioni anagrafiche) che affermano che sia tutto sbagliato, che è tutto da rifare, che gridano al “governo ladro”. E in questa visione nichilista (forse non mi sono ancora svegliata) in cui annaspo, gli consegno il mio dubbio che è al tempo stesso la mia fede quotidiana ed eterna: “Ci sono tante situazioni illegali, scorrette, malevole, drammatiche, ma ognuno di noi ha la possibilità di compiere un passo verso la luce, almeno di provarci. Lo dobbiamo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno lottato e sono morti per noi”.

Lo dobbiamo a noi, ma loro dobbiamo anche a loro. E, in modo quasi automatico, i nomi di Falcone e  Borsellino scivolano sulle mie labbra e si disperdono in quell’aula indistinta, ma colma di potenzialità.

Oggi è il 23 maggio 2023, 31 anni dalla strage di Capace dove morirono il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo (magistrato e moglie di Falcone) e gli agenti Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo.

Questa sera, Tv2000 in seconda serata, ritrasmette il documentario Il filo della memoria a cura del giornalista Massimiliano Cochi. Maria Falcone ricorda e racconta il fratello Giovanni nel Liceo Classico ‘Umberto I’ di Palermo dove avevano studiato assieme, con le voci di chi lo ha conosciuto e di chi ha collaborato con lui.

Il filo della memoria è la sorgente da cui partire per rafforzare lo spirito delle nuove generazioni, mostrare mondi e orizzonti che sono dentro e fuori di loro. Continuare a credere, professare la religione della coerenza, dell’etica, perseguendo i propri sogni e desideri.

Come evidenzia Maria Falcone nel documentario: ““La morte di Giovanni non può essere considerata una sconfitta, ma deve essere considerata quasi una vittoria

Ricordiamo inoltre il documentario Giovanni Falcone 2022. Il Giudice Antimafia per eccellenza chi era? su Youtube e il documentario Chi era Giovanni Falcone su Raiplay.

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