Il paradosso del decreto sicurezza che genera insicurezza

Da quando il Decreto Sicurezza e Immigrazione è entrato in vigore (5 ottobre 2018) ha suscitato molte preoccupazioni internazionali e nazionali.  Il punto controverso riguarda la riforma del diritto di asilo e cittadinanza (primo titolo del documento) per gli stranieri.

La riforma del provvedimento (detto anche Decreto Salvini, dal nome del ministro degli Interni dell’attuale Governo M5S-Lega) comporta tra l’altro: l’abolizione della protezione umanitaria (1 delle 3 forme di protezione, insieme alla protezione sussidiaria e all’asilo politico disciplinate da trattati internazionali); apporta modifiche alla revoca dello status di richiedente asilo e della cittadinanza; prevede il raddoppio del trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione, esteso a 60 giorni prorogabili per altri 30 e, infine prevede il ridimensionamento degli SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati). Questi ultimi creati con l’introduzione nella legislazione corrente del principio di tutela verso quei cittadini stranieri che presentano “seri motivi in particolare di carattere umanitario” e alle persone che “fuggono dai conflitti, disastri naturali o da eventi di particolare gravità” da Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

Le preoccupazione dell’Onu e dei Sindaci

L’abolizione della protezione umanitaria ha sollevato l’inquietudine dell’UNHCR, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, il quale, con una nota ufficiale, ha precisato che qualora le norme fossero adottate nella forma attuale “potrebbero influire negativamente sull’accesso alla protezione e ai diritti dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia”, ricordando che “qualsiasi nuovo provvedimento deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra e alla normativa internazionale”.

Il ridimensionamento degli SPRAR invece ha messo in guardia i Sindaci di numerose città italiane, compresi alcuni amministratori dello schieramento al Governo, sicuri che limitare l’accesso degli stranieri ai circuiti dell’accoglienza diffusa comporterà “un aumento della clandestinità nelle strade”, mettendo maggiormente a rischio “la sicurezza delle città”.

Numeri alla mano, infatti, gli stranieri irregolari espulsi ammontano a circa 25mila ma il numero degli espatri è fermo a 4700. L’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) assicura che i migranti che perdono il riconoscimento e quindi ogni diritto all’inserimento di percorsi formativi e lavorativi (previsti dal progetto SPRAR), non lasciano l’Italia ma vanno ad “alimentare la marginalità e/o la manovalanza criminale” e ha chiesto la sospensione del provvedimento o la modica del Decreto (in questi giorni giunto in Parlamento).

I benefici per gli italiani del progetto SPRAR

Il progetto SPRAR, al quale i Comuni sono liberi di parteciparvi o no, è un modello di accoglienza diffusa riuscito. Ogni Comune che vi ha aderito, non soltanto è riuscito a integrare i migranti ma ha creato un sistema virtuoso per il se stesso, con l’assunzione di personale italiano, impiego di locali in disuso, ripresa di attività in crisi.

Tutto finanziato dai ‘famosi’ 35 euro al giorno assegnati a ciascun migrante.  35 euro che al contrario di quanto affermato falsamente da alcuni politici in campagna elettorale, non finiscono nelle tasche degli stranieri richiedenti asilo (dispongono soltanto di un pocket money del valore di 2,5 euro al giorno) ma sono impiegati per pagare: il personale (formato quasi esclusivamente da italiani) con preparazione di alto livello, laureati in giurisprudenza, scienze politiche, psicologia, scienze sociali, scienze dell’educazione; per la locazione di strutture, a volte piccoli alberghi. Risultato per gli italiani: giovani sottratti alla disoccupazione o all’emigrazione, reddito insperato per quei proprietari di locali abbandonati o per gestori di attività in crisi.

Quindi, quando si parla di ridimensionamento (molti temono smantellamento) del circuito diffuso di accoglienza non ci si riferisce solo alla negazione dei giusti diritti per i rifugiati ma anche ai benefici che il fenomeno dei flussi migratori comporta per gli italiani.

La convivialità delle differenze per  la ripresa

L’immigrazione è un fenomeno che ci accompagnerà per i prossimi decenni: un fenomeno strutturale e come tale deve essere tratto, sottraendolo dall’ottica dell’emergenza ma regolandolo con politiche prospettiche delle quali si parlerà a Modena nel Festival della Migrazione , dal 9 all’11 novembre 2018.
Con il tema Umani100% l’inclusione nella città, il Festival, giunto alla sua 3° edizione, attraverso convegni, dibattiti, tavole rotonde, laboratori e simulazioni,  offrirà proposte concrete, dedicando un’attenzione particolare ai richiedenti asilo che rappresentano soltanto il 2% del fenomeno nel suo insieme. Come accoglierli, proteggerli e integrarli e, attraverso la “convivialità delle differenze”, far “ripartire l’Italia”, paese vecchio e stanco, con una grave crisi demografica, bisognoso che i propri giovani non partano e che altri se ne aggiungano.

Il Festival delle Migrazioni è organizzato dalla Fondazione Migrantes, dall’Associazione Porta Aperta e da IntegriaMo, con la collaborazione dell’Università di Modena.

 

Fotografia di copertina: manifestazione per i diritti umani, Usa anni Sessanta

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