Il lavoro non lo creo. Lo simulo
Esistono verdetti che echeggiano da sempre nel nostro comune sentire. Corollari del quotidiano che finiscono per regolare il nostro modus vivendi. Uno fra i tanti: nessuno è indispensabile sul proprio posto di lavoro. Ciò significherebbe che nel mare agitato del lavoro, nessuno può ritenersi tanto tranquillo da non temere un tragico naufragio. Dunque, al di là di una certa efficienza che a buon diritto si traduce in produttività, nessuno ha assicurato il proprio impiego. Se non si è dipendenti dello Stato, trombe d’aria improvvise in un sol colpo potrebbero spazzare via stipendio e certezze!
Detto altrimenti: in ogni compagine lavorativa tutti sono sostituibili per una strana proprietà` transitiva dell’uguaglianza. Innegabile lo strano effetto che fa sentir parlare d’eguaglianza nel mondo del lavoro.
In effetti, l’odierna discrasia fra offerta e domanda di lavoro sembrerebbe facilitare tale fenomeno tanto che sarebbe ormai una consuetudine diffusa fra gli imprenditori sostituire la propria manodopera, sia essa operaia, impiegatizia o di alta professionalità. Basta gettare la rete per fare una pesca abbondante. Avanti un altro! Tremate gente, niente è certo nel lavoro, si resta nell’ indeterminato pur senza contratto.
Come evitare tragici deragliamenti? Dimostrando di essere una risorsa. Condizione necessaria, ma non sufficiente ad evitare l’esilio. Dimostrando allora di saper essere una risorsa che, immessa nella meccanica del lavoro, non rinuncia all’umano ingegno. Così basta volgere lo sguardo all’interno di piccole imprese per scorgere geni che, mossi da un forte istinto di sopravvivenza, riescono a stralciare il temibile principio di sostituibilità, temuta e malaugurata. Colpi di italica ingegnosità.
Esistono, infatti, dinamiche d’ufficio tanto particolari quanto inspiegabili, almeno all’apparenza. Sembrerebbe che in taluni spazi amministrativi e produttivi chi ha conquistato la propria fetta di operosità` e operatività difenda a denti stretti non sempre seguendo la retta via. In che modo? Con la competenza delle competenze: la sottile capacità di simulare valore aggiunto, un unicum nello svolgere i compiti assegnati. Una rarità inestimabile.
Non solo. C’è addirittura chi vanta una speciale maestria nel far finta di fare. Non un furbetto del cartellino, bensì un lavoratore puntuale facente piuttosto parte di quella mandria che anela a pascolare improvvisandosi fondamentale anello di congiunzione e produzione. A scapito purtroppo di chi lavora con serietà e dedizione. La farsa del “come me nessuno mai”accade soprattutto nelle aziende a conduzione familiare dove il gioco delle parti è un misto di fiducia e confidenza. Insomma fatta le legge trovato l’ inganno verrebbe da pensare. Lecito fluir di vaghe riflessioni in in tempo in cui poche sono ormai le norme a difesa del lavoratore e delle lavoratrici, sia di quelli buoni che di quelli cattivi. Ma la legge, si sa, dovrebbe essere uguale per tutti sempre e ovunque anche in questo bizzarro mercato del lavoro. Il lavoro e il suo doppio, il teatro dell’assurdo.