Giornata internazionale di azione per la salute delle donne

La Giornata internazionale di azione per la salute delle donne (per l’OMS  ogni 28 maggio dal 2019) è la più propizia per sottolineare l’orientamento della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la storica sentenza del 1973 –  Roe vs Wade – che riconosce il diritto costituzionale all’interruzione volontaria di gravidanza nel Paese.

Nel frattempo alcuni Stati federali hanno già approvato leggi che vietano l’aborto mentre altri hanno preso provvedimenti che ne riducono l’accesso.

Tutti gli Stati però sono obbligati ad ammettere l’interruzione e  a fornire contributi pubblici per abortire in caso di stupro, incesto o minaccia alla vita della donna.

Ma se la Corte Suprema dovesse pronunciarsi sfavorevolmente, secondo Amnesty International, anche queste delicatissime e gravissime situazioni potrebbero rivelarsi irrilevanti.

Tasso di mortalità più alto tra i paesi avanzati. 3° causa di mortalità materna nel mondo

Allora nella Giornata dove si ricorda l’azione per la salute della donna va rimarcato come le leggi contro l’aborto non lo riducono ma lo rendono più pericoloso. Gli Usa hanno il tasso di mortalità materna più alto tra i paesi avanzati e, ancora per Amnesty International, la mortalità infantile e materna aumenta proprio negli Stati con le leggi più restrittive.

Come accade sempre, questo tipo di leggi limitativa finiscono con l’essere anche discriminatorie: le più colpite sono le donne a basso reddito – le minorenni, le afro-americane, le migranti, le rifugiate e le persone LGBTQI+.

Limitare per legge gli accessi all’interruzione di gravidanza non limita gli aborti ma dicevamo, li rende soltanto più pericolosi perché la pratica diventa clandestina ed eseguita, afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), da “persone prive delle competenze necessarie o in un ambiente che non conferma gli standard medici minimi o per entrambi i casi”.  Il risultato, prosegue l’OMS è che l’aborto illegale “è la 3° causa di morte materna nel mondo e portatore di altri 5 milioni di disabilità in gran parte prevenibili”.

La criminalizzazione porta all’obiezione di coscienza

Criminalizzare o limitare l’aborto impedisce ai medici di svolgere correttamente il proprio lavoro: alcuni professionisti, riprende Amnesty International “non comprendono i limiti delle leggi” o ne applicano le restrizioni in modo più severo di quanto prevede lo stesso provvedimento per “convinzioni personali, stigma sull’aborto, stereotipi negativi su donne e ragazze o paura di responsabilità penali”.

È il caso dell’Italia dove l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è regolata dalla legge 194 del 1978,  ma l’ applicazione è sempre più ostacolata dai medici obiettori di coscienza, una facoltà a livello individuale prevista dalla legge, ma che si sta trasformando in un’omissione di soccorso da parte di intere strutture.

L’Associazione Coscioni, con l’indagine intitolata Mai Dati – condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, e presentata il 17 maggio 2022 alla Conferenza stampa organizzata presso la Camera dei Deputati – su 180 strutture sanitarie ne ha contate 31 (24 ospedali e 7 consultori) con il 100% di ginecologi, anestesisti, infermieri e  operatori socio sanitario (OSS obiettori di coscienza.

La percentuale di ginecologi non obiettori di coscienza è limitata al 33%. Percentuale che, dicono le autrici dell’indagine, deve essere ridotta perché “non tutti i non obiettori eseguono IVG, in alcuni ospedali eseguono solo ecografie oppure lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG, e quindi non ne eseguono”. Dunque “non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria”.

“Ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro” commentano Lalli e Montegiove.

La protezione della vita e della salute. Un diritto umano

Negli ultimi 25 anni più di 50 Paesi hanno modificato le leggi per rendere più accessibile l’aborto, riconoscendo alla pratica il ruolo vitale per la protezione della vita e della salute delle donne e come tale, per Amnesty International, rientra nei diritti umani. Come la libertà di decisione sul proprio corpo e sulla propria vita riproduttiva.

Nel pieno rispetto della premessa fondamentale: l’educazione sessuale e l’uso corretto dei contracettivi.

 

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