Le nuove aree a rischio pandemie. Dove, come è perché
Potrebbe essere di grande utilità per la salute umana globale – prevenendo nuove epidemie – lo studio internazionale che ha individuato le cause e le aree a rischio di nuove pandemie la cui origine si può sintetizzare con la seguente locuzione: uso insostenibile del suolo.
Espansione delle aree coltivate, insediamenti umani, allevamenti intensivi e frammentazioni delle foreste, sono alcuni dei cambiamenti a livello globale dell’uso del suolo degli ultimi anni, abitudini incompatibili con l’ambiente tanto da creare aree hotspot, ossia le zone dove si sviluppano le condizioni favorevoli per la trasmissione dei coronavirus dagli animali selvatici all’uomo (spillover – passaggio di specie di un patogeno).
Lo studio, pubblicato da Nature Food, è stato condotto da ricercatori del Politecnico di Milano, dell’University of California at Berkeley e dalla Massey University – Nuova Zelanda, suddivisi in team rispettivamente guidati da Maria Cristina Rulli e Nikolas Galli, Paolo D’Odorico e David Hayman; le stesse squadre che nel 2017 hanno pubblicato uno studio che dimostra il legame tra l’epidemia di virus Ebola e la frammentazione delle foreste.
Perché lo studio si è concentrato sui pipistrelliferro di cavallo
La ricerca in questione – frutto di un anno di lavoro iniziato durante il lockdown del 2020) – riguarda un’area totale superiore a 28,5 milioni di km quadrati che si estende dall’Europa occidentale fino all’Asia orientale; area analizzata capillarmente attraverso i dati satellitari ad alta risoluzione per i pattern (modelli) di uso del suolo nelle regioni popolate dal pipistrellioferro di cavallo.
Benché ancora non siano state chiarite le origini esatte del virus SARS-CoV 2, gli scienziati sono concordi nel ritenere che la malattia COVID 19 sia emersa dal virus che infetta i pipistrelliferro di cavallo, trasmesso agli umani direttamente attraverso la caccia alla fauna selvatica o, indirettamente, passando prima per un animale intermedio. “I pipistrelliferro di cavallo sono portatori di una grande varietà di coronavirus – specifica il sito polimi.it – compresi ceppi geneticamente simili a quelli che causano il COVID 19 e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS)”.
Elementi dell’analisi e conclusioni
Partendo dalle analisi di deforestazione, frammentazione, distribuzione dei terreni coltivati, densità degli allevamenti animale, insediamenti umani e cambiamenti nell’uso del suolo nelle regioni popolate dai pipistrelliferro di cavallo, gli autori hanno identificato le aree hotspot per lo spillover, la maggior parte delle quali, sostengono, si trovano in Cina a causa della crescente domanda di prodotti alimentari di origine animale che determina l’espansione degli allevamenti industriali su larga scala.
“L’allevamento intensivo può essere pericoloso a causa dell’alta concentrazione di animali geneticamente simili, spesso immunodespressi, che possono essere altamente vulnerabili alle epidemie” spiega Maria Cristina Rulli che aggiunge – ogni cambiamento nell’uso del suolo può avere un impatto importante sulla salute umana sia perché stiamo modificando l’ambiente, sia perché può aumentare la nostra esposizione alle malattie zoonotiche”. Mai dimenticare che “la salute umana è connessa con la salute ambientale e la salute degli animali”.
Lo studio evidenzia non soltanto le aree già a rischio ma anche le zone che potrebbero convertirsi in hotspot a causa di un cambiamento di uso del suolo. “Ogni cambiamento dell’uso del suolo dovrebbe essere valutato non solo per gli impatti ambientali e sociali su risorse come riserve di carbonio, microclima e disponibilità di acqua, ma anche per le potenziali reazioni a catena che potrebbero avere un impatto sulla salute umana” chiarisce Paolo D’Odorico.
“Il nostro studio è uno dei primi ad associare pattern di uso del suolo insostenibile a possibili spillover di zoonosi, considerando l’uso del suolo insostenibile come mezzo attraverso il quale l’uomo entra in contatto con specie ospiti di virus – conclude Maria Cristina Rulli – e auspichiamo che i risultati possano essere utili per identificare interventi specifici volti all’aumento della resilienza agli spillover di coronavirus”.