Sudan. Le mutilazioni genitali femminili diventano reato penale

In Sudan continua la politica governativa a favore dei diritti delle donne. Dopo l’abrogazione delle leggi sull’ordine e la morale pubblica (una severa interpretazione della Sharia islamica che finiva per colpire soprattutto le donne) dello scorso autunno, il 22 aprile 2020 il Consiglio dei ministri ha approvato la legge che vieta la pratica delle mutilazioni genitali femminili (MGF).  Entrerà in vigore dopo la firma del Consiglio sovrano e prevedrà la pena fino a 3 anni di carcere per tutti coloro – escluse le vittime – che la eseguirà.

Un reato penale, dunque, una conquista di civiltà ma anche una promessa mantenuta e un riconoscimento per le donne che tanto hanno fatto nel corso del lungo periodo di proteste popolari che hanno abbattuto la dittatura di Omar al Bashir e resistito all’aggressiva reazione dei vertici militari del Paese.

L’attuale Governo per la transizione democratica – nato grazie ai gruppi della società civile che sono riusciti a mettersi a fianco del potere militare – è guidato da Abdulla Hamdok che ha assegnato importanti dicasteri alle politiche e che fa della parità di genere una delle sue priorità. Ne è una prova inconfutabile, l’approvazione di questa legge di per sé impopolare, considerando che in Sudan – secondo un sondaggio governativo confermato dai dati Unicef – 9 donne su 10 hanno subito l’MGF: l’equivalente dell’87% della popolazione femminile, per i tre quarti della quale è stata praticata da personale medico (dati, associazione 28 Too many), quindi accettata anche da parti istituzionali del Paese. Farla rispettare  non sarà facile, ma, di fatto, rappresenta un passo importante e un esempio per altri Paesi.

La mutilazione genitale femminile

La mutilazione genitale  femminile indica la totale o parziale rimozione degli organi genitali femminile. Una circoncisione praticata per tradizione e non per ragioni mediche su ragazze la cui età varia tra l’infanzia e i 15 anni, eseguita con una lama e senza anestetico e, sebbene, sia internazionalmente riconosciuta come violazione dei diritti umani, e ancora realizzata su bambine e adolescenti in 187 Paesi soprattutto in Africa e in Medio Oriente, ma anche in alcuni Stati asiatici e dell’America Latina.

Le conseguenze a breve e a lungo termine sono fisiche e psicologiche e includono, dolore intenso e rischio di emorragie, difficoltà a urinare, a procreare, a partorire con maggior rischio di decessi neonatali e diminuzione del piacere sessuale.

È una pratica antichissima che precede sia il cristianesimo sia l’islamismo anche se per tradizione la si collega alla religione; in realtà è legata a questioni culturali e sociali con riferimenti all’idea di purezza e bellezza e che implica un forte senso di disuguaglianza tra i sessi.

Si calcola che siano circa 68 milioni le bambine e le adolescenti in tutto il mondo a rischio di subire la MGF entro il 2030.

In Europa, dove la pratica è illegale, tra le immigrate soggette alla cultura del Paese di provenienza si stima che siano circa 600mila le donne che sono state vittime di questa pratica e altre 180mila sono a rischio in 13 Paesi europei.  (fonte: europarl.europa.eu, febbraio 2020).

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