Siamo venuti in pace, in nome di tutta l’umanità
A 50 anni dal primo passo dell’uomo sulla Luna, la Nasa, l’agenzia responsabile del programma spaziale degli USA, ha terminato i lavori di ristrutturazione della sala di controllo, dove vennero seguite le fasi dell’allunaggio dell’Apollo 11.
Sono state ripristinate le vecchie apparecchiature e tecnologie e ricostruiti, nei minimi particolari, l’arredamento e le condizioni della sala in quelle storiche ore del 20 luglio 1969, incluso le tazze di caffè e i posa ceneri pieni di cicche.
La famosa sala Apollo Mission Control Center, presso il Johnson Space Center a Houston (Texas), ospitava gli ingegneri che oltre all’allunaggio seguirono varie missioni spaziali dal programma Gemini degli anni Sessanta fino al 1992, quando la sala venne abbandonata e le operazioni di controllo trasferite altrove.
Da tempo si pensava di riportare il centro allo stato originale del 1969, ma i lavori sono stati avviati soltanto nel 2017, dopo aver raccolto i fondi grazie all’organizzazione no-profit Manned Space Flight Education Foundation.
Il costo totale della ristrutturazione è stato di 5 milioni di dollari. Nel 2018 la sala, come già l’intero edificio di controllo dal 2011, è stata rinominata Christopher C. Kraft Jr. Mission Control Center, in onore dell’ingegnere aerospaziale, oggi novantacinquenne dirigente in pensione della Nasa, primo direttore di volo dell’Agenzia Spaziale.
Sul sito nasa.gov sono disponibili i podcast che documentano la ristrutturazione della sala di controllo.
Le facce nascoste della missione
Ma quante furono le persone coinvolte nella missione Apollo 11? Circa 400mila, apprendiamo dal documentario When We Were Apollo di Zachary Weil, presentato il 26 giugno 2019 presso il Frost Museum of Science di Miami.
L’opera di Weil, realizzata grazie a una raccolta di fondi pubblica lanciata sulla piattaforma Kickstarter, ricostruisce il lungo cammino, durato circa 10 anni, degli anonimi “eroi del quotidiano, senza il cui lavoro sarebbe stata impossibile la realizzazione “della maggiore impresa in tempo di pace che il mondo abbia mai conosciuto” dice il regista che ha unito le immagini di archivio alle interviste di 2 donne e 17 uomini, un campione rappresentativo dei 400mila, dei quali ha fatto parte anche Katherine Johnson, la matematica afroamericana che nel 2018 ha festeggiato il suo centesimo anno di età e vittima di una freschissima fake news che la voleva morta.
Quel che emerge da When we were Apollo non è tanto (o non solo) la grandiosità della missione, quanto la forza che l’essere umano acquista quando lavora in squadra. “Insieme siamo più forti” dice Weil è possiamo affrontare le grandi sfide, come ad esempio “frenare il cambiamento climatico prima che distrugga il pianeta”.
Il documentario, che sarà proiettato in vari festival, sarà trasmesso in streaming dalla piattaforma Amazon Prime nell’ottobre 2019.
Quelli che la faccia ce l’hanno messa
Ma chi furono gli astronauti che andarono sulla luna? Furono: Neil Armstrong, Edwin Eugene Aldrin Jr (ma famoso come Buzz Aldrin) e Michael Collins.
I 3 iniziarono la loro avventura il 16 luglio 1969 quando salirono sulla navicella spaziale che li avrebbe condotti sulla Luna. Il veicolo era composta da 3 moduli: quello di comando (CM), denominato Columbia, quello di servizio (SM) e il modulo addetto all’atterraggio (LEM) chiamato Eagle (Aquila), che il 20 luglio si staccava dal Columbia e iniziava l’atterraggio. Alle 22.17 (negli States) lo storico annuncio: “Houston, qui base della Tranquillità”, dove Base della Tranquillità indicava che l’allunaggio era avvenuto con successo.
Ad Armstrong, il comandante della missione, spettò l’onore di compiere il primo passo sul satellite (lo fece col piede sinistro), pronunciando la celebre frase “un piccolo passo di un uomo, un grande passo per l’umanità”; 20 minuti dopo fu raggiunto da Aldrin, il secondo uomo a camminare sulla luna.
E Collins? Micheal Collins rimase sul modulo Columbia, in orbita. Ogni volta che la navetta girava dietro la Luna, le comunicazioni con la Terra erano interrotte e Collins, ignorando la sorte dei suoi compagni, rimaneva solo nell’Universo; e da solo toccò il punto più lontano dalla Terra che l’uomo abbia mai raggiunto. Non mise piedi sulla luna il romano Collins (nato in via Tevere, dove una targa lo ricorda), ma, come racconta nella sua autobiografia Carrying the fire: an astronaut’s Journeys, non visse un’avventura meno straordinaria dei suoi colleghi.
Terminate le operazioni previste sulla Luna (raccolta di materiale lunare), Armstrong e Aldrin rientrarono nel modulo LEM che si ricongiunse in orbita lunare con il Columbia e i 3 astronauti (la cui vita fu in pericolo durante ogni fase della missione) rientrarono a Terra.
Sulla Luna hanno lasciato una targa che recita “Qui, uomini dal pianeta Terra posero piede sulla Luna per la prima volta, luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace, a nome di tutta l’umanità.”
Fotografie dall’alto verso il basso: 1-2) Houston, sala restaurata dell’Apollo Mission Control Center; 3) documentario ‘When we were Apollo’, tratta dal profilo Twitter; 4) Katherine Johnson; 5) 20 luglio 1969, l’uomo sulla Luna- Nasa; 6) I 3 astronauti della Missino Apollo. Da sinistra: Armstrong, Collins, Aldrin